"VERITATIS SPLENDOR" UN ANNO DOPO. APPUNTI PER UN BILANCIO (I) (1995)[1]

 

Angel Rodríguez Luño

 

INDICE: 1. Introduzione.— 2. Panoramica delle reazioni suscitate dall'enciclica "Veritatis splendor": 2.1 Paesi di lingua francese; 2.2 Italia; 2.3 Stati Uniti e Gran Bretagna; 2.4 Germania e Austria; 2.5 Paesi di lingua spagnola; 2.6 Conclusioni.— 3. L'autonomia morale: 3.1 L'insegnamento della "Veritatis splendor" sulla giusta autonomia della ragione pratica; 3.2 L'interpretazione inaccettabile dell'autonomia morale dell'uomo; 3.3 Le obiezioni contro la "Veritatis splendor"; 3.4 La "autonomia teonoma" secondo F. Böckle; 3.5 I problemi di fondo dell'autonomia teonoma.

 

1. INTRODUZIONE

Richiamando alcuni presupposti della teologia morale cattolica, l'enciclica Veritatis splendor (VS) ha inteso anche, in linea con quanto auspicato dal Concilio Vaticano II[2], incoraggiare i teologi moralisti ad un ulteriore sforzo di discernimento e approfondimento[3]. Ormai è trascorso poco più di un anno dalla pubblicazione dell'enciclica[4], e alle prime reazioni giornalistiche hanno seguito numerosi articoli nelle riviste culturali e teologiche, convegni e persino libri dedicati allo studio particolareggiato della VS. Sarebbe ancora prematuro voler tracciare un bilancio definitivo, ma ritengo che sia possibile farne almeno un abbozzo. Per ragioni di spazio, tra le pubblicazioni riguardanti i problemi di morale fondamentale toccati dalla VS, mi limiterò all'analisi di quelle che nella loro area linguistica sembrano aver avuto maggiore rilevanza. Restano fuori dalla mia attenzione le reazioni giornalistiche, le interviste e dichiarazioni pubblicate su riviste di attualità e le brevi presentazioni che corredano alcune edizioni della VS nelle diverse lingue.

Lo studio della letteratura scelta si articolerà in due momenti. In primo luogo si offrirà una presentazione globale delle reazioni suscitate dalla VS. Non essendo possibile riportare in uno spazio ragionevole tutto ciò che è stato detto da ciascuno, questa presentazione si limiterà a tracciare un quadro sintetico, ma abbastanza completo, dei temi e dei problemi emersi. Successivamente verrà realizzata un'analisi dei punti che a mio avviso meritano un ulteriore approfondimento. Per evitare fastidiose ripetizioni tematiche, i contributi sui quali si dovrà tornare in sede di approfondimento saranno solo accennati nella presentazione globale iniziale.

2. PANORAMICA DELLE REAZIONI SUSCITATE DALL'EN­CI­CLI­CA "VERITATIS SPLENDOR"

2.1 Paesi di lingua francese

Nella sua presentazione globale della VS, G. Cottier[5] ritiene che l'enciclica vada letta come un'esposizione autorevole della dottrina cattolica che intende offrire una diagnosi e una risposta incisiva a una crisi sociale ed ecclesiale che comporta delle gravi conseguenze per la vita dei fedeli. Cottier sottolinea la convergenza della VS con il Concilio Vaticano II, e in particolare con la Cost. Gaudium et spes, e nota che il discernimento operato dalla VS non procede secondo la logica dei rifiuti globali, giacché in essa trovano adeguata esposizione le istanze positive delle tendenze teologico-morali che per un altro verso meritano delle riserve. Cottier segnala che alcune di queste tendenze, soprattutto certe concezioni dell'opzione fondamentale e la distinzione tra beni premorali e bene morali, hanno alla loro base un'antropologia dualista[6].

Originale e molto analitico è l'approccio di P. Daubercies[7], che offre un'accurata esposizione dei contenuti della VS non secondo l'ordine che hanno in essa, ma seguendo lo schema di un manuale di morale: fine ultimo, gli atti umani, la legge, la coscienza, la virtù e il peccato. Nella terza parte del suo articolo, Daubercies mostra la differenza esistente tra il senso biblico —usato prevalentemente dalla VS— di concetti come verità, libertà, autorità, obbedienza e il senso che tali concetti hanno nel linguaggio comune. Daubercies ritiene che la base del capitolo II della VS è costituita dalla convinzione che esiste un progetto di Dio sull'uomo, raggiungibile dalla conoscenza umana, nel quale è radicata la moralità oggettiva dei diversi comportamenti. Ne segue che la coscienza individuale non possiede il diritto di fare ciò che vuole, giacché esistono azioni ingiustificabili[8].

Mons. G. Lagrange, Vescovo di Gap, sceglie la via di mostrare i presupposti filosofici e teologici della VS[9]. Particolarmente chiara è la sua presentazione del concetto di natura e di legge naturale, del carattere creaturale della libertà umana e del concetto di Creazione, verità quest'ultima che svolge un ruolo centrale nel capitolo II della VS. Il problema che in esso viene trattato non è tanto la sottomissione della ragione alla Rivelazione, quanto lo stesso esercizio della ragione naturale in dipendenza da una realtà che è opera del Creatore. Non esiste una delega originale e completa che costituisca l'uomo come una libertà assoluta senza legami con il progetto divino. Mons. Lagrange ritiene, d'altronde, che la VS è "une encyclique ouverte", e lo dimostra riportando i passi dedicati a mettere in luce gli aspetti positivi degli orientamenti criticati[10]. Questa apertura non è stata capita da tutti, e perciò aggiunge: "A lire certaines critiques de l'encyclique, on est obligé, après cela, de se demander si leurs autours ont bien lu le même texte que nous"[11].

Segnaliamo infine gli articoli di A. Chapelle[12], L. Renwart[13] e un breve intervento di R. Coste[14]. Renwart propone una presentazione destinata al grande pubblico, che lascia da parte le questioni specialistiche dibattute. Coste sostiene che il concetto di legge morale naturale della VS ha una fondazione filosofica e teologica di indole personalista, che offre una valida base per il dialogo aperto con tutti gli uomini, anche con i non credenti.

2.2 Italia

Ci riferiremo in primo luogo a quattro opere collettive dedicate interamente alla VS. La prima sono gli Atti del Convegno degli Pontifici Atenei Romani, tenutosi a Roma i giorni 29 e 30 ottobre 1993[15]. La prolusione del Card. Pio Laghi[16] si svolge in tre momenti: 1) collocazione dell'enciclica nell'attuale contesto di frammentazione che intacca i fondamenti dell'etica; 2) motivazioni profonde soggiacenti all'analisi critica di alcune tendenze del pensiero etico contemporaneo; 3) la VS, lunghi dal bloccare lo sviluppo della teologia morale, la avvia su piste feconde, fissando quelle invarianti de discorso teologico necessarie per non perdere di vista l'oggetto stesso della ricerca. La relazione di R. Tremblay[17] mette in luce l'impostazione cristologica fondamentale intorno alla quale ruotano i tre capitoli della VS. L. Vereecke[18] studia la VS dal punto di vista dello storico della teologia morale. La parte centrale del mio contributo[19] è dedicata all'esame del concetto di autonomia morale, e a esporre la tesi che una delle cause più importanti delle interpretazioni inadeguate dell'autonomia morale è stata la scelta di assumere il metodo trascendentale per la fondazione e l'esposizione scientifica della morale cristiana. L. Melina[20] considera che il contributo fondamentale della VS per quanto riguarda il tema della coscienza sta nel richiamare il principio secondo cui la verità morale ha un carattere non solo di imprescindibile interiorità, ma anche di trascendenza rispetto al giudizio della coscienza. La dimensione pratica della verità morale implica un coinvolgimento dell'intero soggetto in una ricerca che solo è autentica nell'apertura dialogale alla comunione nello Spirito e nella Chiesa.

Mons. D. Tettamanzi[21] rilegge i nn. 98-101 della VS, mostrando l'intrinseca dimensione sociale, e pertanto l'influsso sociale, delle categorie morali fondamentali di cui tratta la VS. G. Gatti[22] mette in rilievo che l'opzione fondamentale è un tentativo di interpretare il vissuto morale superando l'atomismo di una certa manualistica. La VS accoglie questa istanza, ma denuncia il pericolo che tale tentativo venga portato avanti in modo da dissociare l'opzione fondamentale dalle scelte particolari. Questa messa in guardia va naturalmente presa molto sul serio e le precisazioni che l'accompagnano devono essere considerate vincolanti per la riflessione etica cattolica, ma senza fermarsi nel tentativo di approfondire la conoscenza del vissuto morale. B. Kiely[23] sostiene che l'atto umano vada visto nel contesto della vita cristiana come sequela di Cristo nel fare dono di se stesso; da questa prospettiva si è in grado di capire meglio sia l'insistenza della VS sull'importanza dell'oggetto morale per la qualifica morale dell'azione umana, sia i problemi legati al proporzionalismo. D. Mongillo[24] riflette, da un punto di vista prevalentemente pastorale, sui nn. 106-108 della VS. La conclusione di Mons. J. Saraiva Martins[25] enuncia i principali accenti della riflessione svoltasi nel Simposio, dai quali deriva l'esigenza, percepita da tutti, di una riflessione teologico-morale maggiormente ancorata ai nuclei vitali specifici del messaggio cristiano. I teologi moralisti sono chiamati a ravvivare il loro sforzo intellettuale sulle varie tematiche, approfondendole sempre alla luce del Mistero di Cristo. Ciò darà alla teologia morale la possibilità di comprendere meglio la sua identità e i suoi compiti.

Un'altra opera collettiva è quella curata da G. Russo[26]. Non potendomi soffermare su tutti i saggi del libro, mi limiterò a segnalare alcuni punti. Nel Messaggio della Presidenza della CEI si esprime "viva gratitudine" al Santo Padre per l'insegnamento sui fondamenti della morale, che "contiene per tutti noi un grande incoraggiamento" e che "giunge poi quanto mai opportuno". Il contributo del Card. J. Ratzinger mette in rilievo che "la fede include la morale, e ciò vuol dire non soltanto ideali generici. Essa offre molto di più: delle indicazioni concrete per la vita umana. Proprio attraverso la loro morale i cristiani si differenziavano dagli altri nel mondo antico; proprio in tal modo la loro fede divenne visibile come qualcosa di nuovo, una realtà inconfondibile"[27]. Si nota inoltre che la tematica della VS, anche se riguarda certamente la discussione teologico-morale all'interno della Chiesa, va molto al di là, in quanto che la questione morale è diventata nell'attuale civiltà tecnicistica una questione di sopravvivenza per l'umanità. E' questo un aspetto che, come si vedrà lungo queste pagine, non è stato sufficientemente messo di rilievo da alcuni teologi, i quali, forse eccessivamente preoccupati per le discussioni intra-ecclesiali, non concedono la necessaria attenzione all'attuale situazione della cultura in ambito extra-ecclesiale.

Su questo ambito culturale più ampio si muove il mio saggio, dedicato allo studio del significato della Veritatis splendor per l'etica contemporanea[28]. L'enciclica incide sul panorama etico attuale in quanto pone coraggiosamente il problema della verità sul bene, problema che oggi è tante volte evaso. Oggi si affronta volentieri la questione di che cosa è giusto fare, ma si rinuncia a dire che cosa è bene essere e che cosa è bene amare. C'è infatti una crisi di senso che ha come nucleo teoretico la negazione dell'unità della ragione pratica, presentata frequentemente sotto il nome di pluralismo etico[29]. Questa tesi è una delle conseguenze di un fenomeno culturale di ordine più generale che può essere descritto come depressione della dimensione filosofico-sapienziale della ragione umana, che a mio avviso risponde principalmente a tre cause: a) al modo in cui è avvenuto il moderno consolidamento della ragione tecnologica, che a livello della dinamica tendenziale umana risponde al predominio degli impulsi e degli interessi legati alla conservazione e all'espansione dell'io sulle tendenze transitive e trascendenti della persona; b) alla convinzione che l'agnosticismo e il relativismo assiologico siano l'unica filosofia compatibile con la vita democratica, equivoco sbocco di un insieme di problemi reali della convivenza umana nelle società pluralistiche; c) infine, e come risultato di un processo storico iniziatosi con la rottura religiosa del XVI secolo, alla rigida e sistematica separazione tra ragione e fede, che è stata nociva per la ragione non meno che per la fede, in quanto comporta un profondo scardinamento del rapporto intenzionale della coscienza verso la verità dell'essere.

Con quest'ultimo ambito problematico, anche se affrontato sotto un altro profilo, è connesso l'importante saggio di I. Biffi sulla prospettiva biblico-cristologica della Veritatis splendor[30]. Le riflessioni sulla legge morale naturale —osserva Biffi— vengono spesso sviluppate a prescindere dalla relazione con Gesù Cristo, e quindi con riferimento esclusivo a una pura natura e a una pura ragione. Ma, ferma restando la gratuità del soprannaturale, l'ordine scelto da Dio per l'uomo non tollera che il momento e lo statuto della creazione e il momento e lo statuto della Rivelazione vengano concepiti in modo separato o giustapposto. "Questo significa che assolutamente al principio la determinazione divina ha predestinato Gesù Cristo e in lui ha predestinato l'uomo. La creazione, e in particolare l'uomo, con tutto quello che lo costituisce, è esattamente l'espressione di questo disegno, e non invece una sua, per così dire, premessa 'neutra', esaurientemente interpretabile dal puro punto di vista filosofico"[31]. Questa prospettiva pone in riferimento a Cristo sia il senso e il termine della libertà dell'uomo, sia la ragione e l'intenzione della legge morale che lo riguarda, sia, di conseguenza, il contenuto della sua vita etica. La legge naturale, pertanto, "non si colloca al di fuori dell'uomo in Cristo, in uno spazio creativo 'precedente' (...) Tradizionalmente si riconosce alla legge naturale il carattere di definizione radicale dell'uomo, universalmente valida e non mutabile. Ma affermare questo non equivale a 'ridurre' la legge naturale 'precristicamente' o 'acristicamente', ma attingere un primo livello  —se così si può dire— degli 'ingredienti' che definiscono l'uomo e legano a Gesù Cristo, che proprio in quanto Gesù Cristo li fonda e li espone in sé ed esemplarmente per ogni uomo (...) In altri termini: non abbiamo una ragione, a sua volta, neutrale, ma cristianamente predestinata: l'equivoco sta nel pensare che questa predestinazione sarebbe compromettente o alterante per la ragione"[32]. Da tutto ciò segue che una legge naturale estranea alla grazia non c'è mai stata, che essa è essenziale all'identità cristiana e che, pertanto, "l'antropologia cristiana, che è contenuto dell'evangelizzazione, comprende da subito anche la legge naturale. Ed è la ragione per la quale essa non può sottrarsi alla competenza della Chiesa: se questa ha come missione l'annunzio e l'interpretazione del Vangelo, comprendente l'antropologia concreta e integrale, allora è pertinente alla Chiesa la competenza sulla legge naturale, che fa parte dell'uomo in Cristo"[33] Questa è, secondo Biffi, l'intenzione del profilo cristologico e unitario che si trova particolarmente, anche se non in forma sistematica, nei capitoli I e III della VS.

Segnaliamo in terzo luogo la raccolta dei 26 articoli sulla VS pubblicati su "L'Osservatore Romano" tra ottobre 1993 e gennaio 1994[34]. Questi brevi ma accurati articoli costituiscono complessivamente un commento dei principali temi trattati dalla VS. Vengono toccati argomenti come l'impostazione cristologica e biblica dell'enciclica, il rapporto tra libertà e legge, l'autonomia morale, la legge morale naturale, la coscienza, il peccato e la distinzione tra peccato mortale y veniale, il consequenzialismo e il proporzionalismo, le azioni intrinsecamente cattive, la morale sociale, il ruolo dei Vescovi e dei teologi, ecc.[35].

Menzionamo infine il volume curato da R. Lucas Lucas[36]. I commenti vengono strutturati in tre parti, ciascuna delle quali corrisponde a un capitolo della VS[37]. Su alcuni contributi di questo volume ritorneremo più avanti.

Passiamo alle riviste. "Seminarium" ha dedicato un fascicolo monografico alla VS[38]. Ci soffermiamo brevemente sugli articoli che propriamente si riferiscono alla VS. Mons. G. Francis, Vescovo di Yakima (USA)[39], espone l'insegnamento dell'enciclica dalla prospettiva del dialogo: l'agente morale dialoga con Cristo, con la natura e con la comunità attraverso la storia. Il dialogo è il metodo del Vangelo (Mt 19, I Pt 3,15) per arrivare alla verità morale, contenuta nella persona di Gesù Cristo. E. Schockenhoff[40] sottolinea che la dottrina dell'unica fonte della Rivelazione (Scrittura, Tradizione e Magistero), seguita metodicamente dalla Veritatis splendor è stata già insegnata dal Concilio di Trento. La conoscenza della Rivelazione può trovarsi nella Chiesa viva, in quanto fons. La teologia ha il compito di analizzare i vari ambienti di vita degli uomini e di interpretarli alla luce del Vangelo, affinché possano emergere le esigenze morali concrete. E. Kaczynsky[41] mette in luce il concetto biblico di coscienza e, seguendo i testi di VS, sostiene che la coscienza si presenta come "capacità personale di giudicare, di valutare, di preferire, di intimare la realizzazione di un atto" e "come giudizio ultimo prima di decidere". Su queste riflessioni, viene delineata la problematica formativa, con particolare attenzione alle deformazioni che la coscienza può subire, al ruolo dello sforzo personale, ed all'influsso esercitato dall'ambiente nel processo formativo (Chiesa e società, famiglia e scuola). J.V. Schall[42] ricorda che il rispetto per la ragione è intrinseco alla fede cattolica. Se qualche elemento della fede cattolica fosse contrario alla ragione, la validità della fede sarebbe distrutta a causa di una mancanza di coerenza interna. Un atteggiamento pericolosissimo, anzi diabolico, è quello di chi si rifiuta a ragionare, di chi non vuole verificare la validità del proprio agire attraverso la verifica della discussione ragionevole. Chi si appella alla validità di un multiculturalismo relativista rifiuta il valore della ragione. La prontezza di S. Tommaso d'Aquino per rispondere con forza e chiarezza alle obiezioni contro la nostra fede è un elemento intrinseco alla Rivelazione stessa. La fede cerca la luce intellettuale, e cerca di comunicarsi a chi non crede. Centesimus annus, il Catechismo della Chiesa Cattolica e Veritatis splendor contengono argomenti indirizzati alla ragione moderna e formulati nella sua terminologia.

Su "Studia Moralia" B.V. Johnstone[43], prendendo lo spunto dalla richiesta dell'enciclica di una riflessione teologica più profonda sul concetto di sviluppo nella teologia morale, riassume brevemente la discussione di questo secolo (Blondel, Rahner, Congar, Pieper, MacIntyre, Kasper, Wiedenhofer, Pelikan, McCormick, Dulles ...) sul concetto di tradizione in generale. Sottolinea gli aspetti esistenziali, oltre a quelli puramente epistemologici e verbali, della tradizione: la tradizione è un dato antropologico, una forma di vita, basata nella fede su ciò che è trasmesso (e perciò necessariamente in riferimento ad una autorità), un locus di testimonianza della Persona di Gesù Cristo come Verità Ultima, una ricerca razionale della verità, dentro una continuità storica, ma attraverso cambiamenti importanti (i limiti dei quali non sarebbero del tutto determinabili a priori). La misura della verità, speculativa e operativa, di ogni elemento della tradizione è sempre la Persona di Gesù Cristo[44].

Su "Vita e Pensiero" G. Berzaghi[45] studia i contenuti fondamentali dei capitoli I e II dell'enciclica. La "Rivista di Teologia Morale" pubblica uno studio di C. Zuccaro[46], che intende leggere l'enciclica in rapporto alla società, alla Chiesa e alla teologia. Nei confronti della società attuale, l'enciclica sottolinea giustamente l'esistenza di un confine tra il bene e il male e il ruolo della verità "come sentinella etica della libertà e contenuto della legge"[47]. In rapporto alla Chiesa, l'enciclica viene vista dall'autore come un invito alla conversione. Per quanto riguarda il rapporto alla teologia, il giudizio dell'autore sull'enciclica è più articolato. Sul tema legge e libertà c'è un accordo sostanziale. Si osserva però che il rifiuto del relativismo non comporta "necessariamente un'oggettività che non possa accogliere la concretezza della situazione del soggetto morale"[48]. Nella riflessione sul tema coscienza e verità sarebbe necessario interrogarsi sullo statuto epistemologico della verità morale. Il modo di possedere la verità non è lo stesso nell'uomo e in Cristo, che è la Verità. Non si può dedurre immediatamente dall'ordine della trascendenza divina la verità della legge o il criterio per verificare il giudizio della coscienza. D'altronde, "ci si dovrebbe guardare dal rivendicare come verità rivelata, o salvifica quella verità che appartiene ad un ordine di verità che rimane pur sempre di natura morale"[49]. L'autore apprezza le considerazioni della VS sull'opzione fondamentale, così come i chiarimenti forniti riguardo all'oggetto morale, che è visto nella prospettiva del soggetto che agisce come ciò che è ragionevolmente scelto dalla volontà deliberata. Ma questa connessione inscindibile tra soggettivo e oggettivo nella costituzione e nella produzione dell'unico e medesimo atto "dovrebbe essere maggiormente presente anche nella discussione dell'intrinsece malum"[50].

Su "Anthropotes" J. Servais[51] mette in luce come il dialogo di Gesù con il giovane ricco dona immediatamente alla VS la sua connotazione cristologica. Mentre una tradizione precedente vedeva in quel brano evangelico una opposizione tra stati di vita più o meno perfetti, Giovanni Paolo II trova in esso una naturale conferma dell'insegnamento del Concilio Vaticano II sulla chiamata universale alla santità. Viene superata l'opposizione classica tra precetto e consiglio che è la causa delle interpretazioni minimaliste della legge. Considerando Cristo, la sua persona e la sua opera come pietra angolare della morale cristiana, l'enciclica opera un radicale capovolgimento della morale naturale e permette di superare le tendenze soggettivistiche attuali. W.E. May[52] offre una ben documentata analisi delle posizioni teologiche che, a suo avviso, non sono in accordo col nucleo essenziale della VS, indicando le fonti principali di queste posizioni e le ragioni del loro contrasto colla dottrina insegnata dall'enciclica. C. Anderson[53] spiega perché la VS può essere considerata un momento importante per la missione evangelizzatrice della Chiesa. La libertà dell'individuo è spesso sradicata sia da un ordine oggettivo esterno sia dalla verità del suo essere intimo. Così la crisi post-moderna è una crisi dell'antropologia della persona umana, che esige una risposta che implica una penetrazione completa e radicale nel significato dell'essere dell'uomo. Nell'attesa di un probabile ed esteso dibattito sul capitolo II della VS, l'autore pensa che saranno proprio le questioni di identità personale sollevate dai capitoli I e III ad avere influenza più profonda sulla Chiesa[54].

E. Colom[55] struttura i contenuti fondamentali dell'enciclica intorno alla chiamata universale alla santità. A partire dai passi dell'enciclica in cui è particolarmente presente la chiamata alla sequela di Gesù, l'autore delinea i tratti essenziali della santità cristiana secondo la Sacra Scrittura, traccia un'accurata distinzione tra santità ontologica e santità morale e spiega il modo in cui Cristo ha reso possibile la santità di vita per ogni uomo. L'ultima parte dell'articolo è dedicata allo studio del tema "agire umano e santità cristiana". Viene spiegata in primo luogo la distinzione tra teoresis, poiesis e praxis. In rapporto a questa distinzione vengono stabilite sia le caratteristiche specifiche che distinguono la teleologia del fare da quella dell'agire, in modo che risulti possibile capire quanto l'enciclica dice sul proporzionalismo e il consequenzialismo, sia il ruolo della dimensione contemplativa nell'agire morale. Ne scaturisce una visione equilibrata del primato della carità.

G. Mattai, dopo l'esposizione dei contenuti principali della VS, fa alcune riflessioni critiche[56]. Una attenta lettura fa scorgere nel dettato dell'enciclica il metodo del sic et non: cioè delle posizioni da esaminare non c'è mai un rifiuto totale, ma solo una critica relativa alle loro esasperazioni. Sarebbe stato necessario un maggiore approfondimento del concetto di verità; di quello di autonomia, giacché l'etica della fede non esclude l'autonomia della ragione, in quanto tale etica "non è in grado di indicare norme categoriali e contenuti etici formalmente rivelati"[57]; dei problemi connessi con la natura, l'universalità e immutabilità delle norme, e con il teorema delle azioni intrinsecamente cattive. Sarebbe anche da chiarire il rapporto tra valori e norme. "L'enciclica, per evidenziare e contestare la pericolosità di alcune posizioni moralteologiche, le descrive in maniera radicalizzata, per cui, probabilmente, nessun autore saprà riconoscersi in queste configurazioni"[58]. L'autore conclude affermando che l'enciclica va accolta "con rispettoso e amoroso ossequio", il che non dispensa dal pensare e riflettere, anche criticamente, evitando sempre dissensi reclamizzati o facilmente strumentalizzabili da chi ha visioni parziali della Chiesa o non la ama[59].

2.3 Stati Uniti e Gran Bretagna

L'abbondante letteratura sulla VS in lingua inglese sembra convergere su tre questioni: la valutazione globale della VS in rapporto alla situazione morale della società attuale; il significato ecclesiologico della VS come atto del Magistero in materia morale; la critica di alcuni orientamenti teologico-morali, specialmente del proporzionalismo. Tale convergenza mi sembra che possa essere spiegata dal vivace dibattito che su tali questioni esisteva in questi paesi prima ancora della pubblicazione dell'enciclica.

Molti sono gli autori che sottolineano il valore positivo e l'importanza della VS per la situazione attuale della società, anche se alcuni di essi sono critici su altri punti. L.S. Cahill ritiene che il contributo permanente della VS, e quello più necessario per la nostra società, è il suo richiamo all'oggettività della morale, contro il relativismo e l'assolutizzazione della scelta personale[60]. L.S. Cunningham apprezza la grande visione morale presentata dalla VS[61]. D.M. Doyle esprime il suo accordo generale con la VS, e specificamente con l'esistenza di norme inviolabili[62]. S. Hauerwas, autore non cattolico, afferma che l'impostazione cristocentrica della VS ha fatto un grande bene, soprattutto per il rifiuto di separare l'etica dalla teologia. La sua eloquente descrizione del martirio sfida la dominante etica della libertà come fine in se stesso, e la sua conseguente politica. La non separazione dell'ordine etico dall'ordine della salvezza permette un superamento della ormai stanca dialettica tra liberali e conservatori. Hauerwas fa presente infine che è un peccato che la VS non abbia dedicato maggiore spazio alle virtù[63]. R.A. McCormick considera che la VS contiene una giusta e forte accusa contro il relativismo e l'individualismo contemporanei. McCormick condivide pienamente il rifiuto delle false dicotomie fra teonomia e autonomia, libertà e legge, coscienza e verità, così come l'affermazione della VS che queste dicotomie portano al vicolo cieco del relativismo e del soggettivismo[64]. Molti altri autori, di cui parleremo fra poco, condividono questa valutazione globale positiva. Tra le pubblicazioni che ho potuto leggere soltanto Ch.E. Curran esprime un giudizio globale negativo[65].

Più articolato è il panorama in rapporto alle altre questioni. Alcuni autori manifestano una certa insofferenza nei confronti di un atto del Magistero in materia morale. L.S. Cunningham[66], J.A. Komonchak[67] e R.A. McCormick[68] vedono nella VS un atto autoritario, pericoloso per la vita universitaria, paragonabile all'enciclica Humani generis e che, come questa, sarà superato. L.S. Cahill[69] e D.M. Doyle[70] ritengono che la VS, lunghi dal facilitare il consenso sulle norme morali, sarà causa di non poche tensioni.

Altri autori sostengono che le teorie teologico-morali criticate dalla VS non sono state capite ed esposte correttamente. Nessuno degli autori che si sentono chiamati in causa si potrebbe riconoscere nelle descrizioni fornite dalla VS: così J. Fuchs per quanto riguarda l'opzione fondamentale[71], e R.A. McCormick per quanto concerne il proporzionalismo[72].

C'è infine un gruppo numeroso di autori, anche non cattolici, che esprimono invece un giudizio positivo sulle questioni che stiamo esaminando adesso. O. O'Donovan, professore anglicano, afferma che se c'è uno spazio nella Chiesa per il munus petrinum ("Petrine office"), la VS è senza dubbio un "creditable example" del servizio positivo che può svolgere, giacché, sottolineando la necessità della verità come condizione di libertà, raggiunge il cuore della situazione filosofica nella quale tutti i cristiani si riconoscono[73]. Altri studiosi, come J.E. Smith[74], G. Grisez[75], A. Shaw, L. O'Leary, T. Purcell[76], J. Finnis[77], M. Rhonheimer[78], R.J. Neuhaus[79], R. Hittinger[80], R. McInerny[81], A. MacIntyre[82], ecc., dichiarano di capire bene sia la legittimità e l'opportunità della VS, sia la fondatezza delle critiche rivolte ad alcuni orientamenti teologico-morali. In particolare, J.E. Smith[83] e J. Finnis[84] sottolineano che per difendere i diritti umani sono necessarie norme senza eccezioni. Al diritto inviolabile alla vita corrisponde la norma senza eccezioni di non uccidere l'innocente. Molti commentatori, nel mettere in dubbio l'inviolabilità di questa norma sulla base di ragionamenti proporzionalisti, mettono in dubbio ogni diritto. Il sostenere che ci possano essere delle ragioni proporzionate per infrangere delle norme è illogico. Nessuno ha potuto spiegare come possa essere possibile dare una ragione proporzionata per tale infrazione. Finnis aggiunge che ancora più importante dei problemi attuali di dissenso nei confronti dell'insegnamento morale della Chiesa, è il dissenso post-illuministico che mette in dubbio il ruolo della Rivelazione nel determinare la validità di diverse teorie teologiche. Perciò sarebbe necessario un chiarimento magisteriale sul diffuso uso di concezioni erronee della fede e della Rivelazione da parte dei teologi scritturisti.

Da parte sua, G. Grisez[85] ritiene che ad alcuni brani di VS manca la necessaria precisione; tuttavia l'argomentazione principale di VS regge nei confronti delle critiche prevedibili. L'enciclica dice poco sull'autorità del Magistero nel campo della morale e nulla sulla propria infallibilità, ma in realtà l'argomentazione fondamentale della VS è sviluppata sulla base dell'oggetto primario dell'infallibilità, cioè sulla Rivelazione. Il fatto che l'interpretazione pontificia della Sacra Scrittura sia in linea con una tradizione di quasi duemilla anni è un altro indizio della solidità dell'argomentazione teologica della VS. M. Rhonheimer[86] enuclea alcuni elementi della teoria dell'azione morale nel contesto del dibattito sull'enciclica. Prende lo spunto dal nº 78 di VS, e più specificamente ancora, dall'affermazione che per cogliere l'oggetto morale di un atto è necessario collocarsi nella prospettiva della persona che agisce. Da questo punto di vista interpreta la classica distinzione tra genus naturae e genus moris. Tale distinzione implica che per capire la moralità di un atto umano è necessario vederlo in quanto umano, deve essere visto quindi dalla prospettiva morale. L'errore fondamentale del teleologismo è il suo tentativo di trattare gli oggetti della volontà umana da una prospettiva non-morale. Tale errore porta agli estremi per i quali il teleologismo è condannato dall'enciclica. A partire da alcuni concetti della teoria dell'azione, Rhonheimer mostra in seguito la compatibilità della prospettiva intenzionale con l'esistenza di norme universali, e quindi con l'esistenza di azioni intrinsecamente cattive[87].

2.4 Germania e Austria

Ci riferiremo in primo luogo all'opera collettiva curata da D. Mieth[88]. Si tratta di un libro impostato, già sin dalla Prefazione, come un libro anti-VS, secondo il quale l'enciclica sembra non contenere niente di buono. L'esasperato criticismo e il troppo fiele rende il libro poco convincente. Cercheremo di mettere in luce i punti più significativi. D. Mieth[89] si lamenta del tono polemico della VS, che prende di mira presunti teologi moralisti attuali che in realtà non possono riconoscersi nella descrizione che l'enciclica fa delle loro posizioni. Di conseguenza, il Magistero crea dei malintesi, elimina le condizioni di una vera comunicazione, e rimane isolato. In questa linea è criticato il nº 113 della VS, relativo al dissenso nella Chiesa. M. Theobald[90] ritiene che la VS non segue un'interpretazione della Scrittura in sintonia con i moderni metodi esegetici, cercando invece di appoggiare nei testi biblici una visione dottrinale di "un'etica della legge" che è estranea alla Bibbia. K.—W. Merks ritiene che la teoria dell'autonomia morale è presentata dalla VS in maniera distorta e caricaturesca[91]. K. Demmer[92] spiega che lo scopo del teorema dell'opzione fondamentale è quello di presentare l'unione tra persona e atto con gli attuali metodi intellettuali. La VS non tiene conto della filosofia trascendentale, e perciò è "un enorme anacronismo"[93]: opera con categorie filosofiche provenienti da un modello intellettuale oggettivistico ed essenzialistico. Ma soprattutto la VS non interpreta bene ("offenkundige Missverständnisse") la teoria dell'opzione fondamentale[94] e quella dell'autonomia morale. Nella stessa linea W. Wolbert[95] pensa che la VS non dà una visione esatta dell'etica teleologica. B.—M. Duffé[96] analizza diversi modelli di coscienza, e alla fine conclude che la stretta connessione presente in VS tra libertà, verità e moralità comporta una sopravvalutazione della legge, l'insistenza sul suo carattere di norma immediata, il venir meno del discernimento come opera della ragione e lo svuotamento dell'esperienza morale. J. Fuchs si occupa dell'intrinsece malum[97]. Sostiene che la dottrina circa le fonti della moralità presenta in modo parziale la natura dell'oggetto: questo è costituito in realtà, secondo Fuchs, dall'insieme formato dall'oggetto, il fine e le circostanze; perciò si può dire che tutti i tre elementi hanno rilevanza per l'azione umana e, dovutamente misurati e ponderati, entrano nella valutazione morale di questa. Fuchs chiarisce che egli non sostiene che l'oggetto sia semplice "materia" dell'azione, senza rilevanza o significato per essa[98]. Va rilevato però che Fuchs afferma di non negare l'esistenza di azioni intrinsecamente cattive; afferma soltanto che forse sono meno numerose di quanto si pensava in passato[99].

Passiamo ora alle riviste. Alcuni autori insistono in qualche modo sull'idea che le tesi criticate dalla VS non sono state descritte in maniera esatta[100]. Tra questi l'articolo forse più significativo è quello di P. Knauer[101]. Con un tono pacato, Knauer ripropone sostanzialmente la sua nota interpretazione proporzionalistica del principio del duplice effetto, che più avanti sarà oggetto della nostra attenzione.

Ci sono invece altri autori di lingua tedesca che ritengono che la VS ha descritto in maniera esatta e corretta gli orientamenti teologico-morali criticati nel capitolo II. Segnaliamo in primo luogo un denso studio di M. Rhonheimer sul problema dell'autonomia morale[102]. L'autore mostra la complessità, ricca di sfumature, del problema dell'autonomia morale. Ritiene che la VS sia riuscita a cogliere con esattezza l'essenza della questione, presentando un concetto per molti versi innovatore della giusta autonomia morale. Questa valutazione è sostenuta da una lunga argomentazione filosofico-teologica.

Anche J. Rief[103] concorda con la diagnosi realizzata dalla VS. Dopo l'esposizione dei contenuti dell'enciclica, si mostra in disaccordo con le osservazioni critiche rivolte alla VS, e in particolare spiega che è impensabile che i critici di VS possano rifiutare costantemente la fondazione dell'etica sulla verità. Sottolinea il ruolo dei Vescovi nella nuova evangelizzazione, particolarmente nei confronti degli orientamenti introdottisi anche nella Chiesa che oscurano il vero senso e il retto uso della libertà. La fondazione biblica dell'enciclica non è un mero ornamento, ma mette in risalto la connessione della morale con la fede; termini come conversione e penitenza non possono essere abbandonati dalla morale. Quando il Papa parla di libertà e verità autentiche, l'autenticità ha un senso di origine: è autentica la libertà radicata nel piano creatore di Dio. L'enciclica sottolinea giustamente l'insegnamento del Concilio Vaticano II sulla chiamata universale alla santità.

E.H. Prat[104], dopo una breve presentazione dei contenuti fondamentali della VS, riflette sull'atteggiamento ecclesiologicamente corretto nei confronti dei documenti del Magistero (ossequio religioso dell'assenso volontario e intellettuale). Nella sua descrizione del concetto di legge, l'autore sottolinea l'origine divina della legge morale, e perciò la sua oggettività e razionalità: la legge morale naturale si differenzia dalle leggi meramente naturali. Per questi motivi si può parlare di una teonomia partecipata della legge morale naturale. Conclude con l'affermazione delle implicazioni politiche della VS. La morale e la politica non appartengono a sfere separate, sono invece intrinsecamente collegate. Soltanto con una politica fondata sul bene si può trovare l'autentica libertà personale ed evitare ogni forma di totalitarismo. Da rilevare infine la messa a punto del problema della specificità della morale cristiana offerta da M. Rhonheimer[105].

2.5 Paesi di lingua spagnola

Mi sembra che contributo più importante è il voluminoso commento pubblicato dalla Biblioteca de Autores Cristianos[106]. Nel volume vengono studiati con profondità i nuclei tematici fondamentali della VS. Gli studi riguardanti gli orientamenti morali chiamati in causa dalla VS ritengono che la diagnosi e le critiche sono giuste. Su alcuni contributi ci soffermeremo più avanti.

Fra gli studi pubblicati sulle riviste, risalta per la sua profondità speculativa l'articolo di J.L. Ruiz de la Peña[107]. L'autore sviluppa due tesi. La prima tesi riguarda la chiave di lettura della VS. La VS dovrebbe essere letta come uno sviluppo di una linea argomentativa mirante a recuperare il nesso fra l'ordine gnoseologico (della verità), l'ordine assiologico (dei valori) e quello ontologico (dell'essere). Tale linea argomentativa prende lo spunto dalla convinzione fondamentale che l'origine dell'attuale crisi dell'etica risiede nella rottura tra quei tre ordini. Pertanto, tale crisi potrà essere superata soltanto se si riesce a legare adeguatamente tra di loro i concetti di verità, bene ed essere. Tale è, a giudizio dell'autore, il messaggio centrale della VS. La seconda tesi è che nell'attualità un'esigenza analoga a quella della VS, almeno per quanto riguarda la sostanza, si trova in molti teologi e filosofi —credenti e non credenti— di orientamenti molto diversi. La voce dell'enciclica non è una voce isolata nel panorama culturale odierno[108]. Lo sviluppo di queste due tesi è di notevole interesse. Per quanto riguarda la prima tesi, l'autore ritiene che l'attuale crisi della verità procede dall'ambito del pensiero scientifico e dai presupposti ontologici del pensiero debole. Se non si arriva all'assoluto ontologico non sarà possibile fondare l'assoluto etico e l'assoluto epistemologico. La seconda tesi è correttamente illustrata attraverso un'analisi critica di autori come H. Küng, W. Panenberg, L. Kolakowski, A. Cortina, ecc. Nelle considerazioni finali l'autore si stupisce dal fatto che l'enciclica non abbia affrontato direttamente il tema dell'ética civil. In realtà, aggiunge, il discorso della VS sulla natura e sulla legge naturale, che nell'ambito scientifico dovrebbe essere ripreso senza ira et studio, dato che su di esso confluisce oggi nella sostanza la riflessione di tanti studiosi, anche se forse non impiegano il termino "legge naturale", ci porta proprio a ciò che di solito viene chiamato ética civil, che certamente ha dei limiti, giacché si tratta di un "etica minima". Un'attenta considerazione della storia e la storicità permette di capire che essa non solo non si oppone, ma anzi presuppone, l'esistenza di un "núcleo duro de lo humano"[109], che permane come soggetto identico del cambiamento storico. Emerge il compito di individuare quali sono "i minimi etici" derivati dalla natura umana o, se si vuole, dai diritti umani o diritto naturale.

La rivista "Moralia" dedica un fascicolo allo studio della VS[110]. Non ci soffermiamo sul contenuto in quanto nel fascicolo non ci sono argomenti che non siano stati già trattati nelle sezioni precedenti. Infine ci limitiamo a segnalare le presentazioni della VS di J. Espeja[111], L. Rodríguez[112], V. Ferrer[113], Mons. R. Blázquez[114], e i cinque contributi pubblicati su "Scripta Theologica"[115].

2.6 Conclusioni

Il nostro esame della letteratura sulla VS ci permette di formulare alcune conclusioni e di porre alcuni interrogativi.

Il grande numero di articoli e libri sulla VS pubblicati nel periodo che intercorre tra ottobre 1993 e la fine di dicembre 1994, data in cui si conclude la nostra rassegna, ci permette di affermare che l'impatto dell'enciclica di Giovanni Paolo II è stato molto importante. Tutti i temi trattati dalla VS sono stati studiati, analizzati, commentati dai diversi specialisti. Praticamente tutti gli autori coincidono nell'affermare l'opportunità e la validità della VS nei confronti della crisi di senso e di valori che condiziona la vita individuale e sociale della nostra epoca. C'è anche un larghissimo consenso sulla validità dell'impostazione cristologica e biblica proposta dal capitolo I della VS, così come sul fatto che tale impostazione permetterà di avviare un fecondo rinnovamento della morale fondamentale.

Più articolate sono le reazioni degli studiosi per quanto riguarda il capitolo II della VS. Nella maggioranza degli scritti citati nelle pagine precedenti si sostiene che le critiche rivolte dalla VS ad alcuni orientamenti teologico-morali attuali sono giuste, valide e opportune. C'è tuttavia un numero non irrilevante di autori che ritiene che tali orientamenti morali sono stati fraintesi o presentati in modo distorto dalla VS.

Per quanto riguarda il capitolo III della VS, la maggioranza degli autori dimostra di capire che quanto in esso viene detto è valido e opportuno in rapporto sia alla vita interna della Chiesa sia alla nuova evangelizzazione del nostro tempo. Gli autori che esprimono critiche al capitolo II della VS le rivolgono anche al capitolo III, e ciò mi sembra coerente: se fosse vero che gli orientamenti morali di cui tratta il capitolo II della VS non rappresentano in realtà nessun problema dottrinale, allora la presa di posizione della VS significherebbe l'esclusione di impostazioni teologiche legittime, non incompatibili con la dottrina cattolica, e quindi l'enciclica sarebbe una limitazione non giustificata —"autoritaria"— della libertà della ricerca teologica. Se le critiche espresse dal capitolo II della VS fossero invece giuste, il dissenso nei suoi confronti avrebbe un significato diverso: sarebbe, infatti, la conferma che alcuni sono convinti che non esiste veramente "una competenza dottrinale specifica da parte della Chiesa e del suo Magistero circa norme morali determinate riguardanti il cosiddetto 'bene umano': esse non apparterrebbero al contenuto proprio della Rivelazione e non sarebbero in se stesse rilevanti in ordine alla salvezza"[116]. Per quanti condividessero tale tesi, qualsiasi presa di posizione dottrinale in materia morale da parte del Magistero sarebbe, per definizione, un abuso di potere, così come sarebbe esagerato parlare di "grave crisi"[117], vale a dire, "la dissonanza tra la risposta tradizionale della Chiesa e alcune posizioni teologiche, diffuse anche in Seminari e Facoltà teologiche" non riguarderebbe in realtà —contrariamente a quanto afferma la VS— "questioni della massima importanza per la Chiesa e la vita di fede dei cristiani, nonché per la stessa convivenza umana"[118], anche se si tratta di problemi che concernono in pratica il contenuto essenziale di quasi tutti i comandamenti.

Sarebbe quindi da verificare l'esattezza delle critiche contenute nel capitolo II della VS. Da questo problema dipende tutto il resto. Non essendo possibile trattare in questo articolo l'intera tematica toccata dalla VS, ci limiteremo ad esaminare due importanti problemi: l'autonomia morale e l'etica teleologica.

3. L'AUTONOMIA MORALE

La VS insegna chiaramente che si può e si deve parlare di "giusta autonomia della ragione pratica"[119]. Allo stesso tempo afferma in maniera non meno convinta che alcuni moralisti cattolici hanno proposto un'interpretazione dell'autonomia della ragione umana che comporta "tesi incompatibili con la dottrina cattolica"[120]. L'enciclica non cita autori né testi concreti, ma sulla base della descrizione fornita[121], e considerando gli autori che si sono sentiti chiamati in causa, si può affermare, senza paura di sbagliare, che l'orientamento teologico-morale preso di mira è quello conosciuto come "autonomia teonoma" oppure "morale autonoma in contesto cristiano", i cui principali sostenitori sono stati autori come A. Auer, F. Böckle, J. Fuchs, B. Schüller, ecc.[122].

Come si è già accennato, la maggioranza degli autori ritiene che il giudizio dottrinale negativo espresso dalla VS è esatto; ci sono alcuni, però, che lo ritengono condizionato da un essenziale fraintendimento delle teorie criticate, i cui ideatori e difensori non avrebbero mai sostenuto simili errori dottrinali. Cercheremo ora di chiarire la questione, esponendo quanto dice la VS sull'autonomia morale, sia in senso positivo che in senso negativo; quanto dicono i critici, e quanto dicono i testi, augurandoci di riuscire a capire quale è il fondo del problema.

3.1 L'insegnamento della "Veritatis splendor" sulla giusta autonomia della ragione pratica

Diversi autori hanno rilevato che la VS contiene un insegnamento positivo sull'autonomia morale che rappresenta in più di un aspetto una vera innovazione. Riportiamo ora, nei sui tratti essenziali e con qualche nostra aggiunta, la presentazione fatta da M. Rhonheimer[123]. Secondo questo autore, l'idea moderna di autonomia esprime una grande sensibilità per la fondazione razionale delle norme morali, nonché per un'immagine dell'uomo come soggettività responsabile e auto-determinantesi rispetto al proprio progetto di vita[124]. Essa ha provocato la teologia morale cattolica ad un profondo ripensamento dei fondamenti della morale normativa. La VS afferma che in tale ripensamento si ritrovano alcune istanze che non solo sono positive, ma che addirittura "appartengono, in buona parte, alla miglior tradizione del pensiero cattolico"[125].

Da una parte, infatti, secondo la tradizione cattolica la legge morale naturale è una legge interna e razionale, e quindi universalmente comprensibile e comunicabile[126], che certo non può essere vista come un'imposizione "eteronoma"[127]. Inoltre, la VS ricorda, citando le parole del Siracide, che Dio ha voluto lasciare l'uomo "in mano al suo consiglio"[128]. "L'intera tradizione filosofico-teologica cristiana è pervasa dalla consapevolezza che l'uomo, creato a immagine di Dio, è stato affidato tanto per il governo del mondo come per il suo personale perfezionamento alla sua propria cura, responsabilità e autodeterminazione. In piena fedeltà alla tradizione cattolica, si può e si deve quindi parlare di una vera autonomia morale dell'uomo, voluta da Dio"[129].

D'altra parte, la tradizione cattolica afferma che la persona umana, anche nella dimensione pratica del discernimento fra bene e male, dipende da Dio in quanto legislatore. "In consonanza con l'insegnamento del Concilio Vaticano II sull'impossibilità di una autonomia delle realtà create che significhi indipendenza da Dio, Giovanni Paolo II adesso conferma questa dottrina, rifacendosi perciò alle parole della Genesi secondo le quali Dio proibì all'uomo di mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male. Il potere 'di decidere del bene e del male non appartiene all'uomo, ma a Dio solo' (VS, nº 35)"[130].

Il collegamento tra l'autonomia umana e la costituzione teonomica dell'ordine morale in cui l'uomo, come creatura, si trova inserito, si fonda sull'idea di una originaria dipendenza ontologica dell'uomo da Dio, idea che permette di raggiungere una giusta comprensione della ragione pratica umana come facoltà propria dell'uomo, e quindi autonoma, alla quale spetta discernere fra bene e male. La VS non mette dunque in discussione il ruolo attivo della ragione umana nella morale normativa, ma richiama alcuni principi dottrinali riguardanti l'interpretazione e la fondazione ultima di tale ruolo[131].

Secondo la VS, l'autonomia dell'uomo essenzialmente è teonomia[132]. Essa significa per l'uomo parziale auto-possessione della legge eterna di Dio, e quindi "teonomia partecipata"[133]. "L'uomo non è soltanto creatura di Dio, ma inoltre egli è creato a immagine di Dio. Questo non nel senso che perciò l'uomo potrebbe anche lui essere chiamato 'creatore' della distinzione fra bene e male: la sua non è una ragione 'creatrice' della norma morale. Tuttavia, l'immagine di Dio nell'uomo dà origine a una vera autonomia, nel senso che per insegnare all'uomo la distinzione fra bene e male, fondamentalmente, non occorre un'ulteriore rivelazione da parte di Dio. Dio ha dato la sua legge proprio creando l'uomo a sua immagine, conferendogli, cioè, la capacità di fare questa distinzione in cuor suo, in modo appunto autonomo"[134]. Anzi, secondo le parole di S. Tommaso citate dalla VS, la legge morale naturale, i cui precetti corrispondono al progetto divino riguardante l'uomo, "altro non è che a luce dell'intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce e questa legge Dio l'ha donata nella creazione"[135]. La ragione naturale è per l'uomo una vera e propria autorità, fondata però su una sapienza superiore[136]. L'autonomia umana è autentica e attiva, benché fallibile, partecipazione da parte dell'uomo nel governo divino del mondo e di se stesso. In essa si rivela ed è promulgata la legge eterna di Dio. L'uomo è così chiamato ad una vera "partecipazione alla signoria divina"[137].

La dipendenza dell'uomo da Dio legislatore non può essere chiamata "eteronomia", nel senso di una "negazione dell'autodeterminazione dell'uomo o imposizione di norme estranee al suo bene"[138]. Dio ha creato l'uomo a sua immagine. L'essere dato all'uomo —anche l'intelligenza— proviene da Dio. "Prima di poter conoscere se stesso e concepire progetti per la propria vita, l'uomo è già interamente un progetto di Dio, di un Dio la cui essenza però è amore. Di conseguenza, l'obbedienza a qualsiasi norma morale, della quale l'uomo possiede la garanzia che provenga dal Dio vivente, non può essere intesa che come rafforzamento e conferma dell'autonomia umana, cioè della libera e razionale autodeterminazione dell'uomo verso il suo bene proprio"[139]. Ogni ribellione dell'uomo contro la legge di Dio sarà sempre anche ribellione contro il suo essere-uomo e quindi contro il suo bene proprio, e viceversa. Per il credente cattolico la parola di Dio, contenuta nella Sacra Scrittura e nella Tradizione apostolica, interpretata e proposta per mandato di Cristo dal Magistero della Chiesa[140], possiede garanzie di autenticità, e non potrà essere vista come imposizione eteronoma procedente dall'esterno, perché in realtà procede dal dono della fede, che a sua volta presuppone un atto della libertà e, in definitiva, un libero giudizio della coscienza che, nella ricerca della verità e aprendosi ad essa, riconosce e accoglie la luce della fede infusa.

3.2 L'interpretazione inaccettabile dell'autonomia morale dell'uomo

Vediamo quali sono le tesi che la VS considera incompatibili con la dottrina cattolica nell'interpretazione dell'autonomia morale proposta da alcuni moralisti. Possiamo formularle sinteticamente in sei punti.

1) La VS chiarisce innanzitutto, ed è un chiarimento molto importante, che l'orientamento criticato "non ha mai inteso contrapporre la libertà umana alla legge divina, né mettere in questione l'esistenza di un fondamento religioso ultimo delle norme morali"[141].

2) Tuttavia, l'orientamento criticato ha introdotto un profondo cambiamento nel modo di concepire il rapporto tra la ragione umana e Dio, negando le due principali vie attraverso le quali veniva stabilita dalla tradizione morale cattolica la partecipazione tra la ragione umana e la Sapienza divina: "dimenticando però la dipendenza della ragione umana dalla Sapienza divina e la necessità, nel presente stato di natura decaduta, nonché l'effettiva realtà della divina Rivelazione per la conoscenza di verità morali anche di ordine naturale, alcuni sono giunti a teorizzare una completa sovranità della ragione nell'ambito delle norme relative al retto ordinamento della vita in questo mondo"[142], vale a dire, è stato proposto il concetto di ragione creatrice, che stabilirebbe secondo le esigenze cangianti e sempre nuove delle situazioni storiche particolari ciò che è giusto o sbagliato nel campo dell'agire intramondano. Ne è seguita l'affermazione che "tali norme costituirebbero l'ambito di una morale solamente 'umana', sarebbero cioè l'espressione di una legge che l'uomo autonomamente dà a se stesso e che ha la sua sorgente esclusivamente nella ragione umana. Di questa legge Dio non potrebbe essere considerato in nessun modo Autore, se non nel senso che la ragione umana esercita la sua autonomia legislativa in forza di un originario e totale mandato di Dio all'uomo"[143].

3) Questa tesi è stata poi utilizzata come criterio fondamentale di ermeneutica biblica. Quel concetto di ragione è incompatibile con la possibilità di una rivelazione da parte di Dio di precetti morali riguardanti comportamenti concreti, e così "si è giunti conseguentemente al punto di negare l'esistenza, nella rivelazione divina, di un contenuto morale specifico e determinato, universalmente valido e permanente"[144].

4) Gli autori criticati ritengono che questo nuovo concetto di autonomia deve restare circoscritto al piano della morale normativa, e a questo scopo viene separato con un taglio netto il piano normativo dal piano religioso e salvifico. Si distingue così tra verità etiche e verità di salvezza, distinzione che la VS considera contraria alla dottrina cattolica[145].

5) Dalle tesi indicate in 3) e 4) deriva in modo logicamente coerente "la negazione di una competenza dottrinale specifica da parte della Chiesa e del suo Magistero circa norme morali determinate riguardanti il cosiddetto 'bene umano'"[146], giacché in 3) e 4) sono state negate le due ragioni che principalmente fondano tale competenza: si è negato che il depositum fidei contenga un insegnamento morale specifico e concreto, e si è negato che le norme concrete della legge morale naturale siano parte integrante del messaggio di salvezza che la Chiesa porta a tutti gli uomini in virtù del mandato ricevuto da Cristo.

6) Inoltre, il concetto di ragione creatrice contraddirebbe anche l'idea di una natura umana, cioè, di un nucleo dell'essere umano capace di servire come criterio transculturale di dignità umana e dei diritti inalienabili da essa derivanti. Viene negato o relativizzato notevolmente il ruolo del concetto di natura della persona umana nell'etica. "Ciò significa ultimamente definire la libertà mediante se stessa e farne un'istanza creatrice di sé e dei suoi valori. E' così che al limite l'uomo non avrebbe neppure natura, e sarebbe per se stesso il proprio progetto di esistenza"[147]. "Una dottrina che dissoci l'atto morale dalle dimensioni corporee del suo esercizio è contraria agli insegnamenti della Sacra Scrittura e della Tradizione"[148].

Dato che le dimensioni di un articolo devono essere contenute entro limiti ragionevoli, non potremo approfondire i sei punti. Studieremo principalmente il 2), che è il più importante. Ma prima di procedere a uno studio particolareggiato dobbiamo dare la parola ai critici.

3.3 Le obiezioni contro la "Veritatis splendor"

Ci riferiremo sinteticamente a due autori. K.-W. Merks[149] nota che il capitolo II della VS inizia con l'analisi di questo argomento perché la dottrina dell'autonomia morale è ritenuta la base di tutte le altre posizioni oggetto di studio; essa rappresenta, infatti, una nuova comprensione globale della morale. Ritiene che quanto il Papa afferma, specialmente riguardo all'oggettività delle norme morali, merita attenzione. Ciò che invece risulta problematico è il suo modo di dire e la critica palese di numerosi sviluppi attuali della teologia morale. Sorprende come si sia potuto scrivere una tale cosa[150], giacché le dottrine criticate sono presentate in maniera distorta e caricaturesca.

Per dimostrarlo,  Merks spiega il diverso significato dei concetti adoperati dalla VS e dalla morale autonoma. La morale autonoma sostiene che valori e beni non fanno parte di una sorta di ordine normativo, in certo modo scritto, fisso e "deducibile". La loro oggettività deve superare sempre un processo di comprensione da parte degli uomini. Questi devono percepire il carattere di valore e bontà del bene e del valore. Soltanto così potranno percepire il loro carattere obbligante, che non proviene da una "decisione", ma dalla disposizione a impegnarsi, liberamente e responsabilmente, nel bene conosciuto. Ma l'idea che l'uomo crea sovranamente i propri valori sarebbe estranea alla morale autonoma[151].

Per quanto riguarda il concetto di partecipazione, la VS considera che la partecipazione alla legge eterna significa aver diretto accesso ai contenuti morali di un ordine preesistente, che ha nella legge eterna di Dio il suo fondamento e punto di partenza. La ragione è mediatrice nella conoscenza della legge divina e in questo senso leggifera. Per la morale autonoma, invece, l'uomo partecipa al potere divino creando un ordine nuovo e razionale. A questo scopo ha ricevuto da Dio la capacità di distinguere il bene e il male. Ma ciò non significa che venga negato che Dio è l'autore della legge naturale, come dice criticamente il nº 36 di VS. Nel processo di concretizzazione dei primi principi c'è una collaborazione tra Dio e l'uomo. L'obbligo fondamentale dell'uomo è quello di cercare il bene e rispettarlo assolutamente, e non quella di fare propria una legge già stabilita[152].

Per la morale autonoma la ragione umana conosce il significato del bene e del male e deve trovare anche il bene e il male concreti grazie alla dialettica tra ragione e esperienza della realtà. Si potrebbe dire in linea di massima che la natura contiene indicazioni che aiutano nella ricerca dei beni. Ma ciò non comporterebbe né la negazione della natura umana, né escludere che alle basi naturali della nostra esistenza debba venir riservato un posto al momento di edificare la morale. Per la VS, invece, la natura contiene le esigenze morali concrete dell'azione; la ragione deve scoprirle e farle proprie.

Il significato autentico di una morale autonoma, secondo Merks, è che siamo passati dall'etica normativa all'etica della responsabilità: la nostra vita deve essere guidata non da forme che vengono dal di fuori (eteronomia), ma da una legge che ci diamo noi stessi. Comunque, quando si agisce secondo la propria convinzione, si può dire che si obbedisce la legge di Dio e che si agisce secondo la propria dignità. Le norme non sono inutili, ma è compito della coscienza trovare delle norme oggettive. Ciò che importa sono i valori e i beni la cui realizzazione personale e sociale è sperimentata come necessaria e dotata di senso. Le norme sono esperienze sociali "larghe" riguardanti il bene e il male. Sono il risultato della libertà e della responsabilità percepita socialmente dagli uomini. Perciò le norme non sono obbliganti semper e pro semper.

Anche P. Knauer ritiene che Giovanni Paolo II vuole mettere in guardia contro la teoria di un'assoluta sovranità della ragione in morale. Ma Knauer osserva che tale sovranità della ragione non avrebbe senso, e che in realtà non c'è nessun moralista cattolico che la sostenga. Coloro che parlano dell'autonomia della ragione non dicono che la ragione possa creare le proprie leggi, ma che la ragione deve obbedire alle leggi intrinseche della propria natura: per esempio, non accettare nessuna contraddizione logica[153].

Il contributo di Merks mette in luce le istanze positive del concetto di autonomia, e così dice cose che sono vere e che anche la VS condivide[154]. Nel contempo Merks attribuisce alla VS affermazioni che essa non contiene: la VS non dice, per esempio, che la partecipazione alla legge eterna significhi aver diretto accesso ai contenuti morali di un ordine preesistente. E' fuorviante focalizzare la discussione sull'affermazione o negazione del ruolo attivo della ragione pratica, giacché nessun lettore attento della VS potrà sostenere che l'affermazione dell'origine divina della legge morale naturale tenda ad esonerare la ragione umana dal suo specifico compito nell'individuazione delle norme, né che quell'affermazione intenda istaurare un positivismo teologico o una visione eteronoma o estrinsecista della legge morale naturale. Il problema non è questo. Non è in discussione il ruolo attivo della ragione umana, ma l'interpretazione e fondazione ultima di tale ruolo e, in ultima analisi, il concetto stesso di ragione. E su questo punto il contributo di Merks è evasivo. Si limita ad affermare che la morale autonoma non sostiene gli errori dottrinali che le vengono contestati, ma non spiega come essa concepisca la fondazione ultima della ragione pratica. Merks, discepolo di Böckle, riconosce che quest'ultimo è, assieme a A. Auer, uno dei "padri fondatori" della morale autonoma[155], ma non studia nel suo contributo il concetto di "autonomia teonoma" di Böckle. Da parte sua, Knauer si limita a ripetere che nessun moralista cattolico ha sostenuto le posizioni che la VS considera dottrinalmente inaccettabili, ma senza sostenere la sua affermazione con prova alcuna.

3.4 La "autonomia teonoma" secondo F. Böckle

Passiamo ora a esaminare alcuni testi dei "Gründerväter" della morale autonoma. Seguiremo soprattutto uno dei più conosciuti: la Morale fondamentale di F. Böckle[156]. Secondo Böckle, è fuori dubbio che nel contesto di un'etica teologica il fondamento ultimo dell'obbligazione morale dell'uomo sta in una radicale istanza di Dio sull'uomo stesso. Ma questa affermazione non risolve il problema, perché "tutto dipende dal modo in cui s'intende questa istanza divina"[157]. L'unico modo corretto di intenderla  —aggiunge immediatamente Böckle— è di vedere nell'istanza divina "l'orizzonte universale e il fondamento ultimo della libertà umana. Dipendenza da Dio e autonomia dell'uomo non si escludono"[158]. In questo —osservo io— tutti siamo d'accordo; tutto dipende però dal modo di intendere sia la dipendenza che l'autonomia. Böckle risponde: "Da Kant in poi autonomia significa la capacità dell'uomo di determinarsi da sé in quanto essere razionale"[159]; più avanti chiarisce che, nel contesto della rivoluzione copernicana di Kant, "l'autonomia appare come una condizione fondamentale del soggetto intelligibile. In quanto autonomia morale essa significa l'autovincolarsi del soggetto alla legge dell'autodeterminazione razionale"[160].

Conviene precisare subito che Böckle non accetta tutta la fondazione kantiana dell'autonomia morale[161], e neppure il rigido formalismo della morale kantiana. Accetta invece le conseguenze intrinsecamente legate al concetto kantiano di autonomia: la legislazione morale è un compito che l'uomo svolge autonomamente, e perciò la fondazione teonoma dell'etica non può realizzarsi sulla base di un Dio-legislatore[162]. Böckle è ben consapevole del problema. E così afferma che questo concetto di autonomia, che contrassegna in certo modo l'ethos dell'uomo moderno, "equivale alla proclamazione di libertà dalla strettoia di autorità esterne. In particolare sembra qui sottratta ogni base a una morale a fondamento religioso. Sarebbe sleale non riconoscere che molte forme di fondazione e di trasmissione della dottrina morale ecclesiastica sono ben difficilmente compatibili con la tesi dell'autonomia. Il tipo principale di presentazione è quello di una morale eteronoma dei comandamenti. Leggi o proibizioni che ci vengono trasmesse dalla natura o dalla rivelazione biblica vengono trattate come espressione sempe valida e intoccabile della volontà divina. Sono norme dello ius divinum, garantite da Dio stesso. Ma proprio contro questa posizione —conclude Böckle— si deve dire che essa non ha affatto il carattere della necessità; anzi, che essa non corrisponde in alcun modo al tipo classico di teologia cattolica. Alla luce della fede nella creazione dobbiamo invece vedere nell'autodeterminazione morale il compito etico fondamentale dell'uomo"[163].

Sembra pertanto che ogni riflessione morale fondata sui comandamenti o sull'esistenza di uno ius divinum sarebbe eteronoma[164], incompatibile cioè con l'autonomia morale dell'uomo, autonomia peraltro che l'analisi fenomenologica dell'esperienza del dovere rende evidente[165]. Böckle avverte intelligentemente che l'impostazione fino a questo momento delineata non scappa alla dialettica kantiana, secondo la quale ogni spazio che viene concesso a Dio verrebbe eo ipso tolto all'uomo, e viceversa. Perciò, una volta finito lo studio del concetto moderno di autonomia[166], si vede costretto a dedicare un'intera sezione del suo libro a realizzare un tentativo di "legittimazione teologica dell'autonomia morale"[167]. Il problema è posto chiaramente. Nella moderna istanza di autonomia "non c'è neppure più posto per una suprema autorità morale come autore e garante della legge morale"[168]. Più esplicitamente ancora: "Soltanto l'uomo che è in accordo con le massime d'azione che egli stesso si è dato è l'uomo autonomo. E' secondario il fatto che egli riconosca la legge morale come un fatto spontaneo della ragione oppure progetti forme d'azione che hanno vigenza intersoggettiva. L'essenziale è soltanto che tali forme abbiano origine da lui stesso. Di qui —conclude Böckle— l'inevitabile sospetto di eteronomia contro ogni etica che dichiara Dio autore della legge morale"[169].

Se Dio non è autore della legge morale, dove sta allora la teonomia dell'etica cristiana? La teonomia sta —risponde Böckle— nel fatto che Dio ha assegnato all'uomo il compito di formare autonomamente il mondo[170]. Richiamandosi esplicitamente a una dissertazione di Merks, in quei tempi ancora non pubblicata, Böckle spiega che tale impostazione era propria anche di S. Tommaso d'Aquino, e aggiunge in seguito ulteriori sfumature e chiarimenti. La sostanza è la seguente: Dio ha creato l'uomo, lasciandolo però in una libertà o autonomia che ha il carattere di un originario incarico di formulare le norme concernenti la formazione del mondo, incarico che si compie "come un processo culturale autonomo"[171] Dio è causa di una libertà finita chiamata a stabilire in proprio le norme al cospetto di una Libertà infinita, vale a dire, aprendosi o chiudendosi nei suoi confronti. L'obbligo morale assoluto può essere così concepito con riferimento all'origine divina della propria autonomia. Böckle ritiene che "secondo S. Tommaso la conoscenza sia del compito di legiferazione in quanto tale sia del significato dei beni per un'ordinata convivenza tra gli uomini poggia su un'attività creatrice della ragione. L'uomo partecipa alla ratio divina come sua immagine e somiglianza"[172], e questa partecipazione "consiste specificamente nell'inclinazione naturale della ragione pratica all'attività legislatrice in ordine alla realizzazione di se stessa di cui essa è responsabile"[173]. Mi sembra chiaro che teonomia e dipendenza da Dio sono ridotte all'idea residuale che il soggetto autonomo (autolegislatore) ha il fondamento del suo essere-autonomo in Dio. Böckle lo fa capire quando afferma che "la libertà dice da una parte dipendenza totale, in quanto l'uomo riceve come dono la possibilità di una libera decisione (creazione come grazia), dall'altra parte però totale indipendenza, perché egli nella scelta si trova di fronte all'unica possibilità di essere liberi"[174].

Il lettore avrà capito che questo significa che non esiste un rapporto di partecipazione tra la ragione umana e la Sapienza divina (l'ordinatio rationis di Dio, la legge eterna), ma solo tra la libertà umana e la Libertà divina, che è vista come un'istanza infinita slegata di qualsiasi ordinatio rationis riguardante il bene e il male delle azioni umane.  Non si può dire più che quando la ragione umana formula o raggiunge verità morali sul nostro comportamento stia partecipando della legge eterna, perché per Böckle non esiste una legge eterna con dei contenuti ben precisi, ma solo come volontà di Dio —contenutisticamente indeterminata— di assegnare all'uomo il compito di formare autonomamente se stesso e il mondo[175].

Dobbiamo quindi concludere che quando la VS afferma che la morale autonoma dimentica "la dipendenza della ragione umana dalla Sapienza divina"[176]; quando afferma che per i suoi sostenitori "Dio non potrebbe essere considerato in nessun modo Autore (della legge morale naturale), se non nel senso che la ragione umana esercita la sua autonomia legislativa in forza di un originario e totale mandato di Dio all'uomo"[177]; e quando parla di sovranità della ragione oppure di ragione creatrice, la VS descrive in maniera esatta e precisa la tesi fondamentale della morale autonoma.

Tutto ciò non significa, come abbiamo già detto ripetute volte e la VS avverte esplicitamente[178], che la morale autonoma non ammetta un qualche rapporto tra il soggetto morale autonomo e Dio. Questo rapporto c'è, ma dal punto di vista della dottrina cattolica è insufficiente. Si tratta infatti di un rapporto tra la libertà finita e la Libertà infinita che si attua a livello trascendentale, ma non al livello categoriale dei contenuti fondamentali della legge morale naturale (non uccidere, non commettere adulterio, ecc.), contenuti che Cristo presenta inequivocabilmente come comandamenti divini[179]. Böckle ritiene invece che la chiamata di Dio e la risposta dell'uomo s'incontrano nel piano trascendentale. E qui entrano in gioco i concetti di libertà trascendentale e di opzione fondamentale, sui quali non è possibile soffermarci[180].

Ci interessa segnalare invece che l'autonomia o indipendenza della ragione umana per formulare le norme morali riguardanti l'agire intramondano, anche se "teonomicamente" fondata, rende inconcepibile una rivelazione divina di comandamenti morali concreti[181]. Gli insegnamenti etici della Sacra Scrittura, sia dell'Antico che del Nuovo Testamento, avrebbero allora un carattere meramente parenetico[182], oppure sarebbero desunti ogni volta dell'ethos del mondo circostante, storicamente determinato e socio-culturalmente condizionato, sul quale la fede svolgerebbe un ruolo critico di selezione, di modifica e di accentuazione[183]. "L'evento di Cristo —afferma Böckle— non era criterio sufficiente per strutturare esigenze morali concrete"[184]. Su questo punto non sono necessari ulteriori chiarimenti, perché la descrizione fornita dalla VS non è stata contestata. Anzi, queste tesi sono state riproposte da alcuni autori anche dopo la VS[185], con il proposito esplicito di criticare gli insegnamenti dell'enciclica sulla connessione tra fede e morale[186].

Non ci sono particolari dubbi neanche sul fatto che il concetto di "autonomia teonoma" implica una notevole riduzione e relativizzazione della competenza del Magistero della Chiesa in materia di legge morale naturale[187]. Gli insegnamenti del Magistero —afferma Böckle— "valgono di fatto quanto riescono a dimostrare"[188]. D'altra parte, una certa letteratura estremamente critica verso la VS[189], nella quale i punti difficili vengono utilizzati strumentalmente per demolire l'enciclica, dimostra coi fatti non solo una quasi nulla disponibilità all'ascolto e al dialogo da parte di alcuni autori, ma soprattutto che essi sono convinti che l'istituzione del Magistero ecclesiastico da parte di Cristo non implicherebbe una competenza specifica in materia di morale normativa. Altrimenti certi atteggiamenti sarebbero comprensibili soltanto come rispondenti a cattiva volontà, ipotesi questa che in sede scientifica deve essere esclusa in linea di principio.

3.5 I problemi di fondo dell'autonomia teonoma

J. Fuchs scrisse anni fa la seguente osservazione: "A riguardo di tale 'morale autonoma in contesto cristiano', i vescovi dovrebbero pensare meno a Kant che alla dottrina cristiana del diritto naturale. Dovrebbero preoccuparsi, a proposito del concetto di 'etica di fede', del pericolo di perdere quella dottrina cristiana del diritto naturale che era apportata dalla tradizione"[190]. Lasciando ora da parte il dibattito tra morale autonoma ed etica della fede a cui si fa esplicito riferimento, l'osservazione pone una domanda assai importante, che dovrebbe portarci al cuore del problema dell'autonomia teonoma.

La domanda è questa: secondo la tradizione cattolica, la legge eterna, essendo la stessa sapienza di Dio, non è per noi direttamente accessibile;  è accessibile solo attraverso la luce naturale della ragione umana (legge morale naturale). Risulta allora che sia coloro che parlano volentieri della legge eterna, sia coloro che non ne parlano, dispongono in pratica della stessa e identica fonte di conoscenza morale. Se le cose stanno veramente così, come può essere dottrinalmente rilevante la differenza esistente tra la "ragione creatrice teonomicamente fondata" (autonomia teonoma)[191] e la "teonomia partecipata"? Oppure: che cosa significa affermare che l'idea di partecipazione fonda il rapporto tra libertà e verità, mentre che il concetto di ragione creatrice può fondare soltanto una libertà pura, benché finita, ma non un suo essenziale riferimento alla verità?[192]. Dove sta la differenza, dato che entrambe le posizioni riconoscono che non è possibile servirsi della legge eterna come fonte dalla quale dedurre la conoscenza morale?

Per ottenere una risposta si può prendere lo spunto da ciò che J. Fuchs scrisse in un suo articolo: il modo di concepire l'agire morale intramondano dell'uomo dipende "dall'immagine che noi abbiamo o ci facciamo di Dio"[193]. Ogni concetto dell'agire morale implica un'immagine di Dio, e viceversa. La teoria dell'autonomia teonoma implica una precisa immagine di Dio, mentre il concetto di teonomia partecipata ne implica un'altra, quest'ultima a giudizio di Fuchs sarebbe un'immagine "estremamente antropomorfica"[194], non rispettosa della trascendenza di Dio e dell'autonomia dell'uomo. Vediamo innanzitutto in che cosa differiscono queste due immagini di Dio. Il concetto di teonomia partecipata è congruente con un Dio nel quale la libertà dell'atto creatore è realmente inseparabile dalla Sapienza e dall'Amore provvidente che traccia un progetto per l'uomo, in modo che la sua graduale scoperta da parte della ragione umana debba essere considerata come partecipazione alla legge eterna di Dio[195]. Il concetto di autonomia teonoma risponde invece a un Dio che per rispettare la libertà della creatura non ha altra scelta che ritirarsi dalla vita e dal mondo degli uomini, in modo che all'autonomia legislativa dell'uomo corrisponda in Dio uno spazio vuoto, nel quale non è "scritto" nulla. Si tratta quindi di un Dio che niente ha a che vedere con l'ordine morale del nostro agire, dato che esso è affidato interamente ai mutevoli dettami della ragione creatrice.

A questo punto la domanda fondamentale è la seguente: di queste due immagini di Dio, quale è l'immagine del vero Dio? Da una prospettiva teologica dobbiamo dire subito che la vera immagine di Dio è quella data dall'autorivelazione di Dio stesso. Già nella rivelazione veterotestamentaria la legge di Dio svolge un ruolo centrale come particolare dono e segno dell'elezione e dell'Alleanza divina, ed insieme come garanzia della benedizione di Dio[196]. Il Dio della rivelazione non solo non si ritira affatto dalla vita e dalla storia degli uomini, ma entra nel mondo fino al punto di condividere —in Cristo— la nostra condizione umana e diventare nostro esempio, accompagnando la comunità dei credenti attraverso un magistero vivo sostenuto dalla continua assistenza dello Spirito Santo. Non si può accettare il concetto di autonomia teonoma e continuare a leggere la Scrittura come è stata letta, fin dai tempi apostolici, dalla Chiesa e nella Chiesa. Questo è ben messo in luce dalla VS[197].

Se passiamo alla prospettiva razionale, si deve affermare che l'esistenza di una legge divino-naturale, così come tale legge è stata intesa dalla Chiesa, è perfettamente compatibile con un giusto concetto di autonomia; anzi, ne costituisce la fondazione[198]. Se i sostenitori dell'autonomia teonoma non riescono a capirlo, è perché sono proprio loro a concepire la relazione tra Dio e l'uomo in un modo esageratamente antropomorfico, come quella di un padre umano che regalasse a suo figlio una certa quantità di denaro e gli dicesse: "Io non ti dico come devi spenderlo, tu deciderai da solo responsabilmente, giacché per questo ti è stato dato l'uso della ragione". Tra gli uomini, questo comportamento potrebbe essere inteso come rispetto dell'autonomia e della dignità personale del figlio, poiché il padre, con questo gesto, riconosce che suo figlio ha sufficienti risorse intellettuali e morali, e in questo senso lo tratta come a un essere di uguale dignità. Tale comportamento riferito a Dio risulta invece inintelligibile. Sul piano razionale possiamo accedere a Dio come al fondamento creatore del mondo, e ciò significa che la responsabilità, la bontà, la giustizia, la ragionevolezza, ecc. trovano nell'Intelligenza e nell'Amore creatori il loro archetipo originario. Se la creazione è opera della Sapienza e dell'Amore, non è possibile creare senza misurare, senza regolare, senza finalizzare e, in questo senso, senza legiferare. La libertà e la sapienza di Dio sono in realtà inseparabili. Per l'uomo stare davanti alla libertà di Dio significa essere misurato dalla sua Sapienza. E' vero che la ragione umana deve discernere con la propria luce il bene e il male, ma può farlo perché essa è come una scintilla dell'Intelletto divino, e così l'ordine che la ragione umana scopre e formula attivamente non è un ordine meramente umano, giacché la sua costituzione radicale può essere pensata fino in fondo solo in relazione con la Sapienza divina.

Sempre sul piano razionale, il concetto di autonomia teonoma presenta un altro problema di tipo metafisico[199]. Se la legge morale naturale fosse soltanto "un'inclinazione naturale della ragione pratica all'attività legislatrice in ordine alla realizzazione di se stessa di cui essa è responsabile"[200], allora la legge eterna della quale la ragione umana è immagine, almeno per quanto in essa riguarda l'uomo, sarebbe ugualmente un'inclinazione o una potenziale razionalità riguardo ad un'attività normativa affidata all'autonomia umana. La legge eterna non sarebbe più un'attuale, universale e perfetta ordinatio della sapienza di Dio, perché tale ordinatio nei suoi contenuti sarebbe tracciata autonomamente dall'uomo. Questa idea è metafisicamente insostenibile, perché implica affermare che in Dio si dà una libertà che non è al tempo stesso un'ordinatio verso il bene, e quindi sostenere che nella sapienza di Dio si dà un'apertura come pura e semplice indeterminazione. Queste implicazioni non potrebbero essere negate, poiché filosoficamente la realtà umana è il punto di partenza e la realtà divina è il punto di arrivo. Se si parte dalla ragione creatrice, il punto di arrivo diventa assai problematico. Un Dio che crea l'uomo e lo abbandona ad una provvidenza umana che non possiede, anche contenutisticamente, un supporto nella Provvidenza divina, non è un Dio buono. Di un tale Dio non si potrebbe appena dire: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona"[201], ma piuttosto: "Dio vide quanto aveva fatto e disse: vediamo come va a finire". Il Dio dell'autonomia teonoma, della ragione creatrice, è in contraddizione con il Dio della rivelazione biblica. Come si è detto prima, c'è alla radice un antropomorfismo che concepisce il rapporto Dio-uomo alla stregua del trasferimento di competenze tra superiori e subordinati, secondo uno schema di "indipendenza" ed "emancipazione". La creazione è vista come un atto di "emancipazione verso l'autonomia", mentre in realtà la vera dignità dell'uomo, come immagine di Dio, consiste invece nella particolare immanenza della Sapienza divina nella conoscenza morale umana. Come ogni perfezione creata, anche l'autonomia umana è responsabile partecipazione nella perfezione divina, e non un semplice "spazio di libertà o indeterminazione". Alla luce di queste considerazioni appare come il rapporto tra libertà e verità —tema centrale della VS— chiama in causa la comprensione del rapporto tra Dio e l'uomo e, in ultima analisi, l'idea stessa di Dio. L'essenziale e intrinseco rapporto tra libertà e verità è espressione creata dell'identità reale in Dio tra sapienza, ordine, amore e libertà.

Il lettore si sarà forse interrogato perché alcuni autori hanno accettato un concetto di ragione creatrice che comporta assumersi l'onere di un tentativo di legittimazione teologica assai difficile e problematico, e probabilmente non facile da giustificare dal punto di vista metodologico. Cercherò di spiegare ciò che a mio avviso è successo, almeno in alcuni importanti autori[202]. Negli anni sessanta molti moralisti si sono trovati in una situazione che, con un'espressione di MacIntyre, potrebbe essere considerata di "crisi epistemologica". Le categorie con le quali fino a quel momento interpretavano l'esperienza morale e le istanze provenienti dai fedeli e dalla cultura del tempo sembravano inadeguate. C'era d'altra parte la spinta del Concilio Vaticano II verso il rinnovamento. A questo punto alcuni hanno fatto una valutazione della situazione e una scelta ben precisa: quella di assumere nella teologia morale il metodo trascendentale, certamente in versioni assai più evolute e raffinate di quella kantiana, che accentuavano maggiormente la storicità della comprensione umana, il che poneva ulteriori problemi all'etica normativa. Tale scelta implicava non solo dare una riposta diversa al problema della fondazione della morale, ma introdurre un profondo cambiamento nell'idea stessa di fondazione filosofica e teologica[203].

Si sapeva che si trattava di un tentativo assai difficile. Il metodo trascendentale è un'imponente riflessione sulle condizioni soggettive di possibilità dell'apparizione dell'oggetto nella coscienza. La fondazione trascendentale si attua rifacendosi alle strutture oggettivanti dell'intelligenza, che dovrebbero spiegare l'oggetto in quanto presente ad essa. La fondazione trascendentale è un far presente il soggetto trascendentale e le sue strutture. Si sapeva che per la filosofia trascendentale la fondazione gnoseologica diventa l'unica e sola fondazione filosofica possibile, in modo tale che questa finisce di per sé nella ragione umana e molto probabilmente non può andare oltre: la vera ma relativa autonomia gnoseologica della legge morale naturale era chiamata a occupare sempre più l'attenzione del teologo, mentre la sua dipendenza ontologica dalla Sapienza divina nella prospettiva trascendentale era destinata ad scomparire, in quanto poteva sembrare gnoseologicamente non rilevante. Ne seguiva che qualsiasi riferimento a Dio sarebbe visto in un'ottica concorrenziale che certamente era da evitare, ma si pensava che tutto poteva essere ben sistemato con la aggiunta di una legittimazione teologica, imperniata sui concetti di libertà trascendentale e di opzione fondamentale. D'altra parte, si sapeva che il metodo trascendentale aveva avuto fino al momento degli sbocchi di tipo dualista, ma anche qui si sperava di poter superare il problema che, peraltro, non era assai cattivo, giacché si riteneva che da una prospettiva controllatamente dualista forse si poteva difendere meglio il nocciolo più essenziale della morale cristiana dall'offensiva della cultura laica del "tutto può essere diversamente". Si riteneva allora che il tentativo andava fatto, e che il rischio andava assunto, perché in ogni caso l'impostazione trascendentale sembrava rappresentare l'espressione privilegiata dell'orientamento antropologico del pensiero moderno. Il metodo trascendentale garantirebbe la comunicabilità della morale cristiana all'interno di una società secolarizzata come la nostra. Dal punto di vista teologico si trascurava, però, il fatto essenziale che la Rivelazione, anche se certamente contiene la risposta alle domande umane, le eccede di molto, in modo tale da non poter essere condizionata, anticipata, né limitata sulla base degli interrogativi e delle strutture umane[204].

Il giudizio dottrinale su alcuni risultati della morale normativa autonoma è dato dall'enciclica, e io non ho niente da aggiungere. Dal punto di vista scientifico si pongono, invece, molte domande sulla scelta fatta negli anni sessanta. E' stata una scelta ragionevole? Si era ben certi che la sistemazione del metodo trascendentale operata da Rahner sulla scia del Maréchal era sufficiente? D'altra parte, si è valutato bene l'indirizzo che stava prendendo la cultura illuministica? Perché non si è capito che il soggetto trascendentale non avrebbe resistito alla dinamica autodistruttiva insita nella dialettica illuminista? Con un'impostazione trascendentale si pensava di poter rispondere nel futuro alla dissoluzione del soggetto operata dallo strutturalismo e, più avanti, dal decostruzionismo e dalla cosiddetta post-filosofia? E, da un altro punto di vista, i difetti di certe presentazioni manualistiche della morale sono stati esaminati in modo sufficientemente radicale, soprattutto dal punto di vista gnoseologico, per evitare di dover trovarci con un nuovo cavallo di Troia? Non sarebbe stato più efficace percorrere fino in fondo il problema dell'epistemologia morale, come stanno cercando di fare autori come MacIntyre[205], o quelli che attualmente approfondiscono il ruolo, anche epistemologico, delle virtù nell'etica cristiana?[206]. La mia impressione personale è che con altre scelte la ricerca teologico-morale avrebbe progredito molto di più negli ultimi due decenni.

Poiché alcuni autori ritengono che l'autonomia teonoma sia l'unico modo di scappare al positivismo teologico di stampo volontarista, non vorrei finire senza chiarire ancora una volta, a scanso di equivoci, che il concetto di legge eterna, e quindi quello di legge divino-naturale, non è un comodo espediente per risolvere tutti i problemi. Non è il Deus ex machina di cui parlano criticamente alcuni[207], né significa che l'uomo possa vedere direttamente in Dio o nella natura un ordine morale preesistente, come sembra pensare invece Merks[208], e meno ancora vuole essere un sotterfugio per far passare i personali giudizi morali come se fossero giudizi di Dio. Sul piano naturale non abbiamo altri mezzi conoscitivi che la ragione, e quindi non è possibile pensare a una scorciatoia che ci liberi dallo sforzo del discernimento razionale. Il concetto di legge divino-naturale intende spiegare e fondare la capacità razionale che indubbiamente possediamo, e che costituisce peraltro il punto di partenza di ogni discorso razionale sulla legge eterna. In virtù di questa spiegazione nessuno si aggiudica in esclusiva la prerogativa della verità. Si dice soltanto che quando la ragione raggiunge la verità morale (e questo non avviene sempre, perché la ragione umana è fallibile), si raggiunge per partecipazione un'ordinazione divina, preesistente come tale solo in Dio, e che ha in quanto divina un valore assoluto e sovraumano. Quando la ragione agisce come ragione partecipa alla Ragione, in modo che attraverso la legge naturale trova espressione umana un piano esistente nella Sapienza divina dall'eternità. Tutto qui[209]. Il valore della razionalità e della verità non solo non perde nulla, ma viene rinforzato da questa fondazione trascendente. Senza di essa, invece, ogni ragione e ogni verità resta interamente sottomessa alla mera relatività storica e culturale, e in questo senso afferma la VS che scompare dalla coscienza la verità della creazione[210]. Allo stesso tempo che fonda il valore della razionalità morale, la concezione cattolica tradizionale permette di capire la possibilità e la realtà di fatto della rivelazione divina dei principi fondamentali della legge morale naturale. La Sapienza di Dio può rivelare ciò che è conforme a sé, e quindi ciò che è congruo ad ogni essere razionale in quanto tale, senza che tale rivelazione neghi in modo alcuno all'essere razionale la capacità di scoprirlo da sé. La Rivelazione viene in soccorso della naturale fallibilità umana, resa più grave dal peccato, per garantire a tutti il possesso delle verità morali necessarie per la salvezza.



[1] Pubblicato in «Acta Philosophica» IV (1995), pp. 223-260

[2] Cf. Decreto Optatam totius, nº 16.

[3] Cf. VS, nn. 29, 109-113.

[4] La VS, firmata dal Papa il 6 agosto 1993, festa della Trasfigurazione del Signore, è stata resa pubblica soltanto il 5 ottobre dello stesso anno. In questo articolo prendiamo in considerazione la letteratura pubblicata tra ottobre 1993 e dicembre 1994.

[5] G. Cottier, L'encyclique "Veritatis splendor", in "Nova et Vetera" 1 (1994) 1-13.

[6] Cf. Ibid., pp. 7-8.

[7] Après lectures de "Veritatis splendor", in "Esprit et Vie" 49 (9 dicembre 1993) 673-685 e 50 (16 dicembre 1993) 698-703.

[8] Cf. Ibid., p. 702.

[9] Mons. G. Lagrange, La splendeur de la Vérité, in "Eglise de Gap", nouvelle serie nº 421 (dicembre 1993) 22 pp.

[10] Mons. Lagrange cita i nn. 29, 31, 36, 53, 65, 74, 77 e 79 della VS.

[11] Il fatto che alcune di queste critiche siano state formulate prima ancora della pubblicazione dell'enciclica fa parlare a Y. Daoudal, non senza una buona dosi di umorismo, dei "profesionnels de l'opposition au Magistère de l'Eglise" (Y. Daoudal, Veritatis splendor, in "La Pensée Catholique" 267 (nov.—dic. 1993) 15).

[12] A. Chapelle, Les enjeux de "Veritatis splendor", in "Nouvelle Revue Théologique" 115 (1993) 801-817.

[13] L. Renwart, "Veritatis splendor". Un essai de lecture, in "Nouvelle Revue Théologique" 116 (1994) 545-562.

[14] R. Coste, Nature e loi naturelle, in "France Catholique" 2429 (10 dicembre 1993) 20.

[15] VV.AA., Veritatis splendor. Atti del Convegno dei Pontifici Atenei Romani (29-30 ottobre 1993), Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, 143 pp. Il volume contiene la presentazione del Presidente del Comitato Animatore dei Rettori dei Pontifici Atenei Romani, Rev. Prof. Don Raffaele Farina, un articolo pubblicato dal Card. Pio Laghi su "L'Osservatore Romano" il 28 ottobre 1993, e il testo delle relazioni, delle quali tracciamo in seguito una breve sintesi.

[16] L'enciclica "Veritatis splendor": breve presentazione globale, pp. 9-15.

[17] Gesù il Cristo, luce vera che illumina ogni uomo, pp. 25-32.

[18] Magistero e morale, pp. 33-42.

[19] La libertà e la legge nell'enciclica "Veritatis splendor", pp. 43-54.

[20] Formare la coscienza nella verità, pp. 55-71.

[21] La morale e il rinnovamento della vita sociale e politica, pp. 72-96.

[22] Opzione fondamentale e scelte particolari, pp. 97-107.

[23] L'atto morale nell'enciclica "Veritatis splendor", pp. 108-118.

[24] Morale e nuova evangelizzazione. Il bene morale per la vita della Chiesa nel mondo, pp. 119-131.

[25] Linee per un ulteriore approfondimento della "Veritatis splendor", pp. 132-135.

[26] Giovanni Russo (a cura di), Veritatis splendor. Genesi, elaborazione, significato, Edizioni Dehoniane Roma, Roma 1994, 275 pp. Il volume contiene, oltre al testo integrale dell'enciclica in lingua italiana (pp. 185-275) i seguenti documenti e contributi: Messaggio della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, 5-X-1993 (pp. 5-6); Card. J. Ratzinger, Perché un'enciclica sulla morale? Riflessioni circa la genesi e l'elaborazione della "Veritatis splendor" (pp. 9-19); Mons. D. Tettamanzi, "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (pp. 21-31); G. Russo, Il valore dottrinale ed ecclesiologico della "Veritatis splendor" (pp. 35-66); A. Rodríguez Luño, Significato della "Veritatis splendor" per l'etica contemporanea (pp. 67-83); I. Biffi, La prospettiva biblico-cristologica della "Veritatis splendor" (pp. 87-96); Raimondo Fratallone, La coscienza scintilla di verità: dottrina della "Veritatis splendor" e problematica odierna (pp. 97-128); B. Honings, Il discernimento di alcune dottrine morali ed etiche. Una lettura della "Veritatis splendor" (pp. 131-153); G. Concetti, Vescovi, presbiteri e teologi: ministerialità e responsabilità nella "Veritatis splendor" (pp. 155-178); R. Buttiglione, L'affidamento a Maria modello e archetipo della libertà (pp. 179-182). E' prevista per il 1995 una seconda edizione, arricchita dal contributo di altri studiosi.

[27] Ibid., pp. 9-10.

[28] Vedi sopra nota 25.

[29] Un tale tesi è proposta, per esempio, da Ch. Larmore, Le strutture della complessità morale, Feltrinelli, Milano 1990. Sono di grande interesse le riflessioni su questo problema contenute nella prima parte del saggio di Ch. Taylor, Le radici dell'io. La costruzione dell'identità moderna, Feltrinelli, Milano 1993. Dalla stessa questione mi sono occupato, da diverse angolature, in Etica, Le Monnier, Firenze 1992, cap. VII; Un'etica senza Dio?, in "Studi Cattolici" 350 (1990) 208-213; La risposta del pensiero metafisico alla crisi di senso dell'etica contemporanea, in G. Chalmeta (cur.), Crisi di senso e pensiero metafisico, Armando, Roma 1993, pp. 73-89.

[30] Vedi sopra nota 24.

[31] I. Biffi, La prospettiva biblico-cristologica della "Veritatis splendor", in G. Russo, Veritatis splendor..., cit. pp. 88-89.

[32] Ibid., pp. 90-91.

[33] Ibid., pp. 92-93.

[34] Lettera enciclica "Veritatis splendor" del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II. Testo e commenti, Quaderni de "L'Osservatore Romano" 22, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1994, 288 pp.

[35] Per maggiore chiarezza riportiamo l'indice del volume: Mons. A. Scola, Gesù Cristo legge vivente e personale (pp. 153-157); R. Tremblay, L'antropologia cristocentrica della "Veritatis splendor" (pp. 158-162); I. de la Poterie, Non sono venuto per abolire ma per dare compimento (pp. 163-166); S. Pinckaers, La Legge Nuova e lo Spirito Santo (pp. 167-170); G. Segalla, Il rapporto tra libertà e legge alla luce di Mt 5, 17b (pp. 171-176); J. Merecki — T. Styczen, Un'enciclica sulla libertà (pp. 177-181); R. Spaemann, Una difesa dell'uomo contro pretese illimitate (pp. 182-185); M. Rhonheimer, L'uomo, un progetto di Dio (pp. 186-191); J. E. Smith, La legge naturale nella "Veritatis splendor" (pp. 192-195); L. Melina, Coscienza e verità (pp. 196-202); B. Fraling, Libertà e legge nella nuova enciclica di Giovanni Paolo II (pp. 203-211); T. Kennedy, Peccato mortale e veniale (pp. 212-214); B.V. Johnstone, La distinzione tra peccati mortali e veniali (pp. 215-218); G. Cottier, La legge morale oggettiva (pp. 219-222); A. Rodríguez Luño, Teleologismo, consequenzialismo e proporzionalismo (pp. 223-226); J. Finnis e G. Grisez, Gli atti intrinsecamente cattivi (pp. 227-231); B. Kiely, Condizionamenti fisici, psicologici e sociali dell'atto morale (pp. 232-235); M. Schooyans, L'Enciclica e la morale sociale (pp 236-239), B. Petrà, L'osservanza della Legge: debolezza dell'uomo e forza di Dio (pp. 240-243); N. Hausman, Vita morale e vita della Chiesa (pp. 244-250); Mons. D. Tettamanzi, Morale e nuova evangelizzazione (pp. 251-257); W. Ernst, Il servizio dei teologi moralisti (pp. 258-261); J.-L. Bruguès, Il teologo moralista (pp. 262-269); A. Szostek, Varie dimensioni della libertà umana (pp. 270-274); Mons. J.T. McHugh La responsabilità pastorale dei Vescovi (pp. 275-279); e A. Chapelle, L'Enciclica e il Catechismo della Chiesa Cattolica (pp. 280-286).

[36] "Veritatis splendor". Testo integrale e commento filosofico-teologico, Paoline, Cinisello Balsamo (Milano) 1994, 432 pp. Il volume, presentato dal Card. J. Ratzinger, è corredato da utili indici: scritturistico, patristico, dei documenti del Magistero e tematico.

[37] Per informazione del lettore, riportiamo l'indice del volume: Card. J. Ratzinger, Presentazione (pp. 5-10); Card. P. Laghi, Introduzione: Cristo, Dio-uomo (pp. 11-17); testo della VS (pp. 19-124). Prima parte: Mons. A. Bovone, Cristo e la risposta d'amore alla domanda morale (pp. 129-134); R. Tremblay, Fede e morale (pp. 135-152); R. Fisichella, Teologi e Magistero (pp. 153-168); A. Amato, La morale cristiana come vita in Cristo (pp. 169-185); I. Carrasco de Paula, L'uomo immagine di Dio (pp. 186-195). Seconda parte: A. Ales-Bello, Filosofia e filosofie nell'enciclica, (pp. 199-215); P. Miccoli, Insidie nichilistiche per la morale cattolica  (pp. 216-233); J.A. Izquierdo Labeaga, La verità nei suoi splendori (pp.234-250); C. Huber, Presupposti epistemologici (pp. 251-256); G. Traversa, Libertà e verità nella molteplicità degli atti umani (pp. 257-267); R. Lucas Lucas, Natura e libertà (pp. 268-286); J. De Finance, La legge morale naturale (pp. 287-298); I. Fucek, La coscienza morale (pp. 299-316); L. Melina, L'opzione fondamentale (pp. 317-334); H. Seidl, L'atto morale: oggetto, circostanze e intenzione (pp. 335-351); A. Lobato, La persona umana (pp. 352-371). Terza parte: H. Hude, Il rinnovamento sociopolitico (pp. 375-381); J. Castellano Cervera, Morale, spiritualità e nuova evangelizzazione (pp. 382-398); R. Lucas Lucas, Conclusione (pp. 399-400).

[38] "Seminarium", 34/1 (1994) 22-177: De theologiae moralis institutione post litteras encyclicas "Veritatis splendor". Il fascicolo comprende una presentazione del Card. Pio Laghi e 11 articoli. Gli articoli dei proff. L. Vereecke (L'enseignement de la théologie morale du concile di Trente au concile Vatican II, pp. 22-30) e B. Honings (Rinnovamento conciliare e sviluppo postconciliare della teologia morale, pp. 31-42) si riferiscono allo sviluppo della teologia morale prima della Veritatis splendor. Altri articoli, come quelli dei proff. S. Bastianel (La chiamata in Cristo come tema e principio dell'insegnamento della teologia morale, pp. 52-71)), F. Imoda (Aspetti del dialogo tra le scienze umane e padagogiche e la dimensione teologica, pp. 89-108)), J.A. Reig Pla (La formación de orientadores morales, pp. 131-150) e Mons. D. Lafranconi (Educazione morale e nuova evangelizzazione, pp. 170-177), trattano argomenti riguardanti il compito della teologia morale ma non sono propriamente uno studio o commento sull'enciclica. L'articolo di G. Cottier (Formes actuelles du relativisme moral, pp. 163-169) traccia una panoramica del relativismo etico, spiegando alla fine come la Veritatis splendor mostra che la persona non è riducibile all'universo fenomenologico, giacché si apre alla trascendenza e scarta per ciò stesso ogni forma di relativismo morale.

[39] Teaching Moral Theology in the Light of the Dialogical Framework of "Veritatis splendor", pp. 43-51.

[40] Die Bedeutung von Schrift, Tradition und Lehramt für das Verständnis des christlichen Ethos, pp. 72-88.

[41] Punti fermi nella formazione della coscienza cristiana, pp. 109-130.

[42] The Secular Meaning of "Veritatis splendor", pp. 151-162.

[43] Faithful Action: The Catholic Moral Tradition and Veritatis Splendor, in "Studia Moralia" 31/2 (1993) 283-305.

[44] Sullo stesso fascicolo R. Tremblay (Jésus le Christ, vraie lumiere qui éclaire tout homme. Rèflexions sur l'Encyclique de Jean Paul II "Veritatis Splendor", pp. 383-390), ripropone in lingua francese le interessanti considerazioni sull'impostazione cristologica della VS già pubblicate in lingua italiana sul volume dell'Editrice Vaticana sopra citato, e L. Vereecke (Magistere et morale selon "Veritatis Splendor", pp. 391-401) svolge uno studio della VS in quanto atto del Magistero ecclesiastico dal punto di vista dello storico della morale. Sulla stessa rivista, ma già nel 1994, segnaliamo R. Tremblay, Suggestions pour una bonne réception de "Veritatis splendor", "Studia Moralia" 32 (1994) 157-161, e B. De Margerie, L'agir pascal, commandament suprême de la Nouvelle Alliance. Réflexions dans le contexte de "Veritatis splendor", "Studia Moralia" 32 (1994) 163-168.

[45] G. Berzaghi, "Veritatis Splendor". Il richiamo al fondamento, in "Vita e Pensiero" 12 (1993) 802-811.

[46] C. Zuccaro, La "Veritatis Splendor". Una triplice chiave di lettura, in "Rivista di Teologia Morale", 100/4 (1993) 567-581.

[47] Ibid., p. 568

[48] Ibid., p. 574.

[49] Ibid., p. 578.

[50] Ibid., p. 580.

[51] "Si tu veux être parfait...viens, suis-moi". Le Christ, norme concrète et plénière de l'agir humain, in "Anthropotes" 10/1 (1994) 25-38.

[52] Theologians and Theologies in the Encyclical, in "Anthropotes" 10/1 (1994) 39-59.

[53] Veritatis splendor and the New Evangelization, in "Anthropotes" 10/1 (1994) 61-73.

[54] Segnaliamo due articoli che, anche se scritti prima della pubblicazione della VS, trattano con profondità alcuni dei temi etici centrali del capitolo II dell'enciclica: J. Finnis, Reason, Relativism and Christian Ethics e M. Rhonheimer, "Ethics of Norms" and the lost Virtues, in "Anthropotes" 9/2 (1993) 211-230 e 231-243.

[55] E. Colom, L'agire morale, cammino di santità. Una riflessione attorno all'enciclica Veritatis splendor, in "Annales theologici" 7 (1993) 281-322.

[56] G. Mattai, Veritatis splendor. Riflessione introduttiva all'enciclica morale di Giovanni Paolo II, in "Asprenas" 41 (1994) 25-38.

[57] Ibid., p. 33. Stupisce che questa affermazione non venga accompagnata da qualche prova o giustificazione, giacché è tutt'altro che evidente, sia in rapporto al testo biblico sia per quanto riguarda la sua congruenza con la dottrina della Chiesa, la quale, come afferma più di una volta la VS, insegna piuttosto il contrario.

[58] Ibid., p. 34.

[59] Per concludere le pagine relative all'Italia menzioniamo soltanto gli autori e i titoli di altri contributi: R. Lucas, Presupposti antropologici dell'etica esistenzialistica e dell'etica normativa, in "Doctor Communis" 3 (1994) 215-239; J. Van der Vloet, Homo viator. L'antropologia della "Veritatis splendor", in "Communio" 135 (1994) 79-87; S. Bastianel, L'Enciclica sulla morale: "Veritatis splendor", in "La Civiltà Cattolica" 144 (6 novembre 1993) 209-219; D. Composta, L'enciclica "Veritatis splendor" del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, in "Divinitas" 38 (1994) 9-22; A. Lattuada, Passione per la verità, "Rivista del Clero Italiano" 74 (1993) 802-808; e i sette contributi pubblicati su "Lateranum" 60/1 (1994): R. Penna, Nuovo Testamento ed esigenza morale, pp. 5-27, R. Tremblay, Le Christ et la morale selon l'Encyclique de Jean Paul II "Veritatis splendor", pp. 29-66, M. Cozzoli, La verità principio normativo della morale nella "Veritatis splendor", pp. 67-97, R. Gerardi, Il bene morale per la vita della Chiesa e nel mondo, pp. 99-123, A. Montan, Morale e diritto alla luce dell'Enciclica "Veritatis splendor", pp. 125-135, A. Rigobello, Morale cattolica e morale laica a confronto, pp. 137-150, E.M. Toniolo, La Vergine Maria nella "Veritatis splendor", pp. 151-169.

[60] Cf. Veritatis splendor, in "Commonweal" 120/18 (1993) 15-16.

[61] Cf. Veritatis splendor, in "Commonweal" 120/18 (1993) 11-12.

[62] Cf. Veritatis splendor, in "Commonweal" 120/18 (1993) 12-13.

[63] Cf. Veritatis splendor, in "Commonweal" 120/18 (1993) 16-18.

[64] Cf. Some early reactions to "Veritatis splendor", in "Theological Studies" 55/3 (1994) 502-503. La stessa considerazione è contenuta nell'articolo, per altri versi molto critico, Killing the patient, in "The Tablet" (30 ottobre 1993) 1410-1411, pubblicato anche con un altro titolo su "America" 169/13 (1993) 8-11.

[65] Cf. Veritatis splendor, in "Commonweal" 120/18 (1993) 14.

[66] Cf. Veritatis splendor, cit., pp. 11-12.

[67] Cf. Veritatis splendor, cit., p. 12.

[68] Cf. Killing the patient, cit., pp. 1410-1411; e Some early reactions..., cit., pp. 505-506.

[69] Cf. Veritatis splendor, cit., pp. 15-16.

[70] Cf. Veritatis splendor, cit., pp. 12-13.

[71] Cf. Good acts and good persons, in "The Tablet" (6 novembre 1993) 1444-1445.

[72] Cf. Killing the patient, cit., e Some early reactions..., cit.

[73] Cf. A summons to reality, in "The Tablet" (27 novembre 1993) 1550 e 1552.

[74] Cf. Veritatis splendor, in "Commonweal" 120/18 (1993) 14-15.

[75] Cf. "Veritatis splendor": Revealed truth vs. dissent, in "Homiletic and Pastoral Review" (marzo 1994) 8-17.

[76] Cf. i loro interventi in "Fidelity" (gennaio-marzo 1994) 13-20.

[77] Cf. Beyond the Encyclical, in "The Tablet" (8 gennaio 1994) 9-10.

[78] Cf."Intrinsically Evil Acts" and the Moral Viewpoint: Clarifying a Central Teaching of "Veritatis splendor", in "The Thomist" 58/1 (1994) 1-39.

[79] Cf. The Splendor of Truth: A Symposium, in "Firts Things" 39 (gennaio 1994) 14-29.

[80] Cf. Te Pope and the Theorists, in "Crisis" (dicembre 1993) 31-36.

[81] Cf. Locating Right and Wrong, in "Crisis" (dicembre 1993) 37-40.

[82] Cf. How can we learn what "Veritatis splendor" has to teach?, in "The Thomist" 58/2 (1994) 171-195.

[83] Cf. Veritatis splendor, cit., pp. 14-15.

[84] Cf. Beyond the Encyclical, cit., pp. 9-10.

[85] Cf. "Veritatis splendor": Revealed..., cit.

[86] Cf. "Intrinsically Evil Acts"..., cit.

[87] Quando queste pagine erano già in tipografia sono arrivato a conoscenza del volume curato da J. Sellings e J. Jans, The Splendor of Accuracy: An Examination of the Assertions made by Veritatis Splendor, Kok Pharos Publishing House, Kampen (Olanda) — Eerdmans, Grand Rapids (USA) 1994, 181 pp. Soltanto è stato possibile aggiungere questa segnalazione.

[88] Moraltheologie im Abseits? Antwort auf die Enzyklika "Veritatis splendor", Herausgegeben von Dietmar Mieth, Quaestiones disputatae 153, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1994, 315 pp. Il libro contiene i seguenti contributi: Prefazione dell'editore (pp. 7-8); D. Mieth, Die Moralenzyklika, die Fundamentalmoral und die Kommunikation in der Kirche (pp. 9-24); M. Theobald, Das biblische Fundament der kirchlichen Morallehre (pp. 25-45); K.—W. Merks, Autonome Moral (pp. 46-68); K. Demmer, Optionalismus— Entscheidung und Grundentscheidung (pp. 69-87); W. Wolbert, Die "in sich schlechten" Handlungen und der Konsequentalismus (pp. 88-109); E. Chiavacci, Für eine Neuinterpretation des Naturbegriffs (pp. 110-128); B. Fraling, Freiheit und Gesetz (pp. 129-143); B.—M. Duffé, Conscience morale et Magistère catholique (pp. 144-176); J. Fuchs, Die sittliche Handlung: das intrinsece malum (pp. 177-193); H. Rotter, Instruktion oder Kommunikation (pp. 194-202); G. Virt, Epikie und sittliche Selbstbestimmung (pp. 203-220); J.—P. Wils, Person und Subjektivität (pp. 221-243); M. Vidal, Die Enzyklika "Veritatis splendor" und der Weltkatechismus. Die Restauration des Neuthomismus in der katholischen Morallehre (pp. 244-270); R.A. McCormick, Geburtenregelung als Testfall der Enzyklika (pp. 271-284); B. Häring, Pastorale Lösungen in der Moral? (pp. 285-295); A. Auer, Ist die Kirche heute noch "ethisch bewohnbar"? (pp. 296-315).

[89] Die Moralenzyklika, die Fundamentalmoral und die Kommunikation in der Kirche, pp. 9-24.

[90] Cf. Das biblische Fundament der kirchlichen Morallehre, pp. 25-45.

[91] Cf. Autonome Moral, pp. 46-68. Più avanti, nella sezione 3.3, ci soffermeremo sui contenuti fondamentali di questo saggio.

[92] Optionalismus — Entscheidung und Grundentscheidung, pp. 69-87.

[93] Ibid., p. 70.

[94] Cf. Ibid., p. 73; anche p. 79, nota 23.

[95] Die 'in sich schlechten' Handlungen und der Konsequentialismus, pp. 88-109

[96] Cf. Conscience morale et Magistère catholique, pp. 144-176.

[97] Die sittliche Handlung: das intrinsece malum, pp. 177-193.

[98] In un altro articolo, che affronta la stessa tematica, Fuchs spiega che non si può dire senza precisazioni ulteriori se sia lecito o meno mentire, uccidere ecc. L'oggetto completo dell'atto umano è l'azione etica basilare (Grundakt) insieme all'intenzione, alle circostanze e alle conseguenze prevedibili (per es. bisogna vedere se il non dire la verità è un inganno auto-interessato o intende custodire un segreto; l'analisi dello sperma può cambiare la valutazione di ciò che si ritiene 'masturbazione', ecc.). Il giudizio etico deve considerare tutto quell'insieme per valutare se l'azione è buona o cattiva. Cf. Das Problem Todsünde, in "Stimmen der Zeit" 212/2 (1994) 83.

[99] D'accordo a quanto Fuchs ha detto in altri scritti, questa affermazione dovrebbe significare che è chiaro che sono intrinsecamente cattivi gli atti che si oppongono alle "norme trascendentali", alle norme categoriali "alquanto formali" dette "norme morali-personali" e alle "norme che riguardano valori in sé morali". Queste norme, per Fuchs sono o parenetiche o tautologiche, e non è su di esse che si discute quando si parla dell'intrinsece malum; cf. J. Fuchs, Etica cristiana in una società secolarizzata, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1984, p. 118.

[100] Cf. W. Kerber, Veritatis splendor, in "Stimmen der Zeit" 211/12 (1993) 793-794; K. Hilpert, Glanz der Wahrheit: Licht und Schatten, in "Herder Korrespondenz" 47 (1993) 623-630.

[101] Zu Grundbegriffen der Enzyklika "Veritatis Splendor", in "Stimmen der Zeit" 212/1 (1994) 14-26.

[102] Sittliche Autonomie und Theonomie gemäss der Enzyklika "Veritatis Splendor", in "Forum Katholische Theologie" 10/4 (1994) 241-268.

[103] Cf. Grundlinien und Grundanliegen kirchlicher Moralverkündigung in und nach der Enzyklika "Veritatis splendor". Zur Wiedergewinnung der wahren Basis einer christlichen Sittlichkeit, in "Forum Katholische Theologie" 10 (1994) 3-29.

[104] Die Enzyklika "Veritatis splendor". Eine Besprechung, in "Imago Hominis. Quartalsschrift des Instituts für Medizinische Anthropologie und Bioethik" 1/1 (1994) 10-14.

[105] Über die Existenz einer spezifisch christlichen Moral des Humanums, in "Internationale katholische Zeitschrift Communio" 23/4 (1994) 360-372.

[106] G. Del Pozo Abejón (ed.), Comentarios a la "Veritatis Splendor", BAC, Madrid 1994, 763 pp. Il volume, presentato da Mons. E. Yanes Alvarez, Arcivescovo di Zaragora e Presidente della Conferenza Episcopale Spagnola, contiene una bibliografía sulla VS, il testo della VS in lingua latina e spagnola (pp. 3-186) e i seguenti studi: G. Del Pozo Abejón, Introducción general: La verdad sobre el hombre en su vida moral a la luz de Cristo y de su Espíritu (pp. 189-230); G. Gutiérrez, La "Veritatis splendor" y la ética consecuencialista contemporánea (pp. 233-262); E. Bonete Perales, El fundamento racional de la moral y la "Veritatis splendor" (pp. 263-300); D. Composta, Tendencias de la teología moral en el posconcilio Vaticano II (pp. 301-340); A. Sánchez Manzanares, La vida moral como proceso: "Veritatis splendor" y psicología moral (pp. 341-359); J.R. Flecha Andrés, Presencia de la Biblia en la "Veritatis splendor" (pp. 361-382); J.A. Martínez Camino, "La fe que actúa..." (Gál 5,6). Fe y razón en la "Veritatis splendor" (pp. 383-402); R. Tremblay, La antropología de la "Veritatis splendor". "Para ser libres nos liberó Cristo" (Gál 5,1) (pp. 403-428); A. Carrasco Rouco, Iglesia, Magisterio y Moral (pp. 429-474); S. Pinckaers, La ley nueva, en la cima de la moral cristiana (pp. 475-498); A. González Dorado, Evangelización y moral (pp. 499-516); C. García, Vida moral y perfección cristiana (pp. 517-540); M. Rhonheimer, Autonomía y teonomía moral según la "Veritatis splendor" (pp. 543-578); B. Fraling, Libertad, ley y conciencia. Reflexiones sobre la "Veritatis splendor" (pp. 579-592); N. Blázquez, Ley natural (pp. 593-618); L. Melina, Conciencia y verdad en la encíclica "Veritatis splendor" (pp. 619-650); G. Gatti, Opción fundamental y comportamientos concretos (pp. 651-692); A. Rodríguez Luño, El acto moral y la existencia de una moralidad intrínseca absoluta (pp. 693-714); B. Kiely, La "Veritatis splendor" y la moralidad personal (pp. 715-738); V. Possenti, La "Veritatis splendor" y la renovación de la vida social y política (pp. 739-754). Chiudono il volume un indice tematico e un indice degli autori citati.

[107] La verdad, el bien y el ser. Un paseo por la ética de la mano de la "Veritatis splendor", in "Salmanticensis" 41/1 (1994) 1-29.

[108] Cf. Ibid., pp. 1-2.

[109] Ibid., p. 25.

[110] Cf. "Moralia. Revista de ciencias morales", 17/1 (1994). Contiene i seguenti articoli: M. Vidal, Opción fundamental y conciencia moral en la encíclica "Veritatis splendor", pp. 5-30; J.R. López de la Osa, Libertad y autonomía moral. Contexto y texto de la "Veritatis splendor", pp. 31-50; B. Bennàssar, La razón moral es también teleológica, pp. 51-56; J. Vico Peinado, Etica y magisterio en la "Veritatis splendor", pp. 67-92; J.A. Lobo, La "Veritatis splendor" y la ética civil, pp. 93-106.

[111] "Veritatis splendor": valor de las normas en cuestiones morales, in "Ciencia Tomista" 120/3 (1993) 621-629.

[112] Verdad y moral. Anotaciones a la Encíclica "Veritatis splendor", in "Salmanticensis" 41/2 (1994) 261-271.

[113] Verdad y autonomía. A propósito de la carta encíclica "Veritatis splendor", in "Revista Teológica Limense" 28/1 (1994) 5-28.

[114] Respuestas a las primeras reacciones críticas, in "Ecclesia" (1-8 enero 1994) 6-9.

[115] E. Molina, La encíclica "Veritatis splendor" y los intentos de renovación de la teología moral en el presente siglo, "Scripta Theologica" 26/1 (1994) 123-154; A. Quirós Herruzo, La ley de Cristo, verdad del hombre, 155-169; T. Styczen, ¿Por qué la encíclica sobre el esplendor de la verdad?, 171-177; A. Sarmiento, Elección fundamental y comportamienos concretos, 179-197; W. E. May, Los actos intrínsecamente malos y la enseñanza de la encíclica "Veritatis splendor", 199-219.

[116] VS, nº 37.

[117] Cf. VS, nº 5.

[118] VS, nº 4. Cf. anche G. Cottier, L'encyclique "Veritatis splendor", cit., pp. 1-2.

[119] VS, nº 40.

[120] VS, nº 37.

[121] Cf. VS, nn. 36-37.

[122] Su questo orientamento teologico-morale, tra la letteratura precedente alla VS, possono essere utili per una visione di insieme i seguenti studi: O. Bernasconi, Morale autonoma ed etica della fede, Dehoniane, Bologna 1981; F. Citterio, Morale autonoma e fede cristiana. Il dibattito continua, I, in "La Scuola Cattolica" 108 (1980) 509-581. Per un approfondimento teoretico: A. Rodríguez Luño, Sulla fondazione trascendentale della morale cristiana, in VV.AA., Persona, verità e morale, Città Nuova Editrice, Roma 1987, pp. 61-78; M. Rhonheimer, Natur als Grundlage der Moral. Eine Auseinandersetzung mit autonomer und teleologischer Ethik, Tyrolia, Innsbruck-Vienna 1987. Tra la letteratura sulla VS esaminata nelle pagine precedenti si riferiscono a questo problema da diversi punti di vista i contributi di W.E. May, Theologians and Theologies in the Encyclical, cit.; D. Composta, Tendencias de la teología actual en el posconcilio Vaticano II, cit.; M. Rhonheimer, Sittliche Autonomie und Theonomie gemäss der Enzyklika "Veritatis splendor", cit., Autonomía y teonomía moral según la "Veritatis splendor", cit. e L'uomo, un progetto di Dio, cit.; K.—W. Merks, Autonome Moral, cit.; A. Rodríguez Luño, La libertà e la legge nell'enciclica "Veritatis splendor", cit.; e P. Knauer, Zu Grundbegriffen der Enzyklika "Veritatis Splendor", cit.

[123] M. Rhonheimer, L'uomo, un progetto di Dio, cit., pp. 186-191.

[124] Cf. Ibid., p. 186.

[125] VS, nº 36.

[126] Cf. VS, nº 36.

[127] Cf. VS, nº 41.

[128] Sir 15, 14; cf. VS, nº 38.

[129] M. Rhonheimer, L'uomo, un progetto di Dio, cit., p. 186; cf. VS, nn. 40-41. Per il rapporto tra autonomia dell'uomo e immagine di Dio, cf. I. Carrasco de Paula, L'uomo immagine di Dio, cit., pp. 191-195.

[130] M. Rhonheimer, L'uomo, un progetto di Dio, cit., p. 186.

[131] Cf. A. Rodríguez Luño, La libertà e la legge nell'enciclica "Veritatis splendor", cit., p. 50. Cf. VS, nº 40.

[132] Cf. VS, nº 41.

[133] VS, nº 41.

[134] M. Rhonheimer, L'uomo, un progetto di Dio, cit., p. 188. Lo stesso autore nota che questo non impedisce che la Rivelazione, anche di verità raggiungibili dalla ragione, sia stata data all'uomo in soccorso della sempre esistente fallibilità. Su ciò si veda anche B. Honings, Il discernimento di alcune dottrine morali ed etiche. Una lettura della "Veritatis splendor", cit., pp. 136-137.

[135] S. Tommaso d'Aquino, In duo praecepta caritatis et in decem legis praecepta, Prologus. Cf. VS, nº 40.

[136] Cf. VS, nº 44, con riferimento alla Libertas praestantissimum di Leone XIII.

[137] VS, nº 38.

[138] VS, nº 41.

[139] M. Rhonheimer, L'uomo, progetto di Dio, cit., pp. 189-190. Come si è visto, anche P. Daubercies ritiene che nel capitolo II della VS è decisiva la convinzione che esiste un progetto di Dio sull'uomo, raggiungibile dalla conoscenza umana, nel quale è radicata la moralità oggettiva dei diversi comportamenti (cf. Après lectures de "Veritatis splendor, cit., p. 702). Mons. G. Lagrange aggiunge che non esiste una delega originale e completa che costituisca l'uomo come una libertà assoluta senza legami con il progetto divino (cf. La splendeur de la Vérité, cit.).

[140] Cf. sul tema R. Fisichella, Teologia e Magistero, cit., e A. Carrasco Rouco, Iglesia, Magisterio y Moral, cit.

[141] VS, nº 36.

[142] VS, nº 36.

[143] VS, nº 36. Si noti beni che quest'ultima frase non contraddice quanto la VS dice nel brano citato nel punto 1). Non si nega in assoluto che la legge morale abbia un qualche rapporto con Dio, si afferma che Dio non ne è l'Autore se non nel senso che....

[144] VS, nº 37.

[145] Cf. VS nº 37, con riferimento ai canoni 19-21 della sessione VI del Concilio Tridentino (DS 1569-1571).

[146] VS, nº 37.

[147] VS, nº 46.

[148] VS, nº 49.

[149] Cf. Autonome Moral, cit., pp. 46-68.

[150] Cf. Ibid., p. 53.

[151] Cf. Ibid., p. 57.

[152] Cf. Ibid., p. 58.

[153] Cf. Zu Grundbegriffen der Enzyklika "Veritatis Splendor", cit., p. 14.

[154] Cf. sopra 3.1

[155] Cf. Autonome Moral, cit., p. 65.

[156] F. Böckle, Morale fondamentale, Queriniana, Brescia 1979. Originale: Fundamentalmoral, 1ª ed., Kösel-Verlag, München 1977. In seguito citiamo l'edizione italiana di quest'opera con la sigla MF.

[157] MF, p. 12. Tale impostazione è fedelmente riportata dalla VS: si veda sopra 3.2, 1) e inizio del 2).

[158] MF, p. 12.

[159] MF, p. 12.

[160] MF, p. 41.

[161] Cf. MF, p. 44.

[162] Questo non significa ovviamente che non ci sia un qualche rapporto tra le legge morale naturale e Dio. Si tenga conto che la stessa posizione di Kant è molto articolata. Nella Fondazione della metafisica dei costumi e nella Critica della ragione pratica, Kant elabora il concetto di autonomia in modo da escludere inequivocamente che Dio possa essere l'autore della legge morale. Ma in alcuni passi della stessa Critica della ragione pratica e, soprattutto, nella Metafisica dei costumi e nell'Opus postumum Kant introduce sfumature che complicano il problema, in quanto sembra attribuire al dovere morale un'origine teonoma in senso metaforico. La morale —afferma Kant— "conduce alla religione, cioè alla conoscenza di tutti i doveri come comandamenti divini" (Critica della ragione pratica, 9ª ed., Laterza, Bari 1966, p. 162). Ma la "necessità morale" di considerare i doveri come comandamenti divini "è soggettiva, cioè un bisogno, e non oggettiva, cioè anche un dovere" (Ibid., p. 157). Kant intende dire che la nostra ragione è fatta in modo tale che non riesce a rendere intuitivo il dovere senza pensare che esso viene imposto da un essere superiore. Ma ciò non risponde ad una necessità oggettiva né a una teonomia propriamente detta, così come non implica neppure che esistano doveri verso Dio. Un testo della Metafisica dei costumi lo chiarirà: "La forma di tutte le religioni, se si definisce la religione come 'l'insieme di tutti i doveri concepiti come (instar) comandi divini', appartiene alla morale filosofica, perché non si considera che il rapporto della ragione coll'idea che essa stessa si forma di Dio, e non vi si trasforma ancora un dovere religioso in un dovere verso (erga) Dio, come Essere esistente al di fuori della nostra idea, perché in questo caso si fa astrazione dalla sua esistenza. Che noi dobbiamo pensare tutti i doveri dell'uomo come sottoposti a questa condizione formale (...) è cosa, di cui non si può dare che una ragione soggettivamente logica. Noi non possiamo renderci ben sensibile l'obbligazione (necessità morale) senza rappresentarci un altro essere e la sua volontà (...) Ma questo dovere relativo a Dio (propriamente all'idea che noi ci formiamo di un tale Essere) è un dovere dell'uomo verso se stesso, vale a dire non è obbligazione oggettiva di prestare certi servizi ad un altro, ma soltanto l'obbligazione soggettiva di fortificare l'impulso morale nella nostra propria ragione legislativa" (Metafisica dei costumi: Dottrina della virtù, Paravia, Torino 1925, pp. 154-155). Ugualmente chiara è la distinzione stabilita tra autore della legge (Urheber) e legislatore (Gesetzgeber): "Il legislatore "è autore (auctor) dell'obbligazione di agire secondo la legge, ma non sempre autore della legge stessa. Nell'ultimo caso la legge sarebbe positiva (contingente) e arbitraria. La legge, che comanda a priori e incondizionatamente per mezzo della propria nostra ragione, può essere espressa come derivante dalla volontà di un legislatore altissimo (...), il che però significa soltanto l'idea di un essere morale, la cui volontà è legge per tutti, senza però immaginarlo come autore della legge" (Metafisica dei costumi: Dottrina del diritto, 2ª ed., UTET, Torino 1978, p. 403). Per Kant la necessità soggettiva di concepire i doveri come comandamenti divini ha un valore esclusivamente pratico, e quindi completamente immanente. Non significa quindi che Dio sia legislatore morale; caso mai Dio rafforza l'obbligazione di agire secondo la legge che noi stessi ci siamo dati.

[163] MF, p. 12.

[164] Cf. in senso opposto VS, nº 41; si veda sopra 3.1

[165] Mi sembra che è vero che il dovere morale compare nella coscienza come immediatamente legato al bene morale dell'azione comandata o al male dell'azione vietata, e che il dovere può essere concepito dalla coscienza indipendentemente da qualsiasi idea di un comandamento divino. Altra è la situazione quando si passa alla interpretazione e fondazione ultima del dovere morale, il che è già un compito proprio della riflessione filosofica e teologica, e non più dell'analisi fenomenologica del vissuto. Come abbiamo visto, Kant capovolge il problema: rifiuta l'idea di legge divina in sede di fondazione, ma la introduce come una necessità soggettiva in quanto la ragione non riuscirebbe a concepire l'idea di dovere senza riferirla alla volontà di un essere superiore.

[166] Cf. MF, pp. 39-57.

[167] Cf. MF, pp. 57-75.

[168] MF, p. 57; sott. mia.

[169] MF, p. 70. Con quest'impostazione non vengono criticate fino in fondo le premesse teoretiche che costringono Kant nella seguente alternativa: o la legge morale è del tutto immanente, e allora Dio non può esserne l'autore, o Dio né è l'autore trascendente, e allora crolla l'autonomia dell'essere razionale. Nella prospettiva kantiana, "non si riesce a vedere se Kant di fatto abbia soppresso Dio, mantenendo inalterata la legge divina, o piuttosto abbia soppresso la legge divina, mantenendo Dio" (A. Lambertino, Il rigorismo morale in Kant, Maccari, Parma 1970, p. 237). Premesse analoghe condizionarono la celebre controversia de auxiliis (rapporto tra la grazia divina e la libertà umana), che nell'ottica kantiana risulta ulteriormente appesantita, perché "Kant ha fuso in uno tutti gli aspetti del problema morale, fino a renderli convertibili: mentre altri dissociavano la problematica concernente la fonte primigenia della legge morale dalla problematica della libertà —per cui, partendo dalla premessa di un Dio creatore, lo consideravano anche legislatore, mentre l'ambito operativo della libertà veniva affidato all'iniziativa esclusiva o concomitante dell'uomo— Kant unifica i due problemi e opta per una soluzione dell'intero problema morale altrettanto assolutistica quanto problematica, volendola fare sussistere assieme alla tesi di un Dio creatore. Egli (Kant) è giustamente preoccupato di rivendicare l'autonomia della volontà umana nell'attività morale, la sua libertà e quindi l'imputabilità del suo operare; ha intuito che l'attività morale comporta un tipo di iniziativa irriducibile a quella propria dell'attività fisica, in cui la dipendenza dall'Assoluto è avvertita in modo più intrinseco. Il limite della sua tesi non sta nell'avere evidenziato tale istanza, quanto nell'averla fondata tramite una totale reiezione della presenza operante di Dio nell'attività libera dell'uomo, senza riuscire ad armonizzare due principi del tutto coessenziali anche se difficilmente conciliabili, libertà dell'uomo e onnipresenza operativa divina in ogni manifestazione dell'essere" (Ibid., pp. 194-195). Resta in questo modo preclusa la possibilità di distinguere tra norma etica prossima e norma etica ultima, e con ciò la possibilità di porre in Dio il principio originario della legge e nell'uomo il principio prossimo della determinazione della volontà: l'uomo agisce per la presenza della legge divino-naturale nella ragione umana, essendo vero che sul piano naturale solo attraverso la ragione umana e del suo esercizio gnoseologicamente autonomo —ma non ontologicamente autonomo in ultima analisi— viene raggiunta la legge divina. Böckle intende risolvere questo complicato problema negando uno dei due termini che lo integrano. Il problema viene dissolto e in fondo evaso, ma non risolto.

[170] Cf. MF, pp. 70-75.

[171] MF, p. 70.

[172] MF, p. 73; la sott. è di Böckle.

[173] MF, p. 74.

[174] MF, p. 75.

[175] Il lettore ne può avere ulteriore conferma nel trattamento riservato da Böckle alla legge morale naturale: cf. MF, pp. 201-221. Altri autori non sono meno chiari su questo punto. Così J. Fuchs: "Poiché la morale normativa è 'umana', le norme procedono dagli uomini stessi, più generalmente dal contesto di un gruppo, della società" (Essere del Signore. Un corso di teologia morale fondamentale, PUG, Roma 1981, p. 175).

[176] VS, nº 36.

[177] VS, nº 36.

[178] VS, nº 36.

[179] Questo è il tema del capitolo I della VS. Oltre i testi in esso citati, si veda anche Mt 15, 3-6, dove Cristo distingue esplicitamente e apertamente tra i comandamenti divini ("onora il padre e la madre") e le tradizioni e interpretazioni umane ("Invece voi asserite ...").

[180] Cf. MF, pp. 66 ss. e 120 ss. Cf. L. Melina, L'opzione fondamentale, cit.; A. Rodríguez Luño, Sulla fondazione trascendentale della morale cristiana, cit., pp. 70-75; W. May, Theologians and Theologies in the Encyclical, cit., pp. 45-49.

[181] Cf. VS, nº 37. Vedi sopra 3.2, 3).

[182] Cf. MF, pp. 145-149.

[183] Cf. MF, pp. 170-198. Böckle sostiene che "la legittimazione teonoma delle norme non è originaria, ma risultato di una riflessione teologica sugli eventi centrali della rivelazione (...) Il nucleo contenutistico dell'ordinamento etico di fondo dell'antica alleanza si è formato in base a un processo storico-culturale, e in questo senso non va dunque inteso come uno ius divinum originario (...) La collocazione del popolo nel culto (non la collocazione originaria nella vita) dà al decalogo il carattere di credo etico. Le affermazioni sono parenetiche, cioè contengono consolazione ed esortazione" (MF, p. 149). Da parte sua, J. Fuchs scrive: "L'esegesi moderna afferma che in genere le affermazioni morali più concrete contenute nella Scrittura non possono essere considerate norme morali rivelate da Dio e non possono essere proposte dalla chiesa come infallibili" (Responsabilità personale e norma morale, EDB, Bologna 1978, p. 202). C'è solo da notare che, per quanto riguarda il decalogo, gli studi di critica testuale mostrano che nelle due redazioni (Esodo e Deuteronomio) confluiscono quattro tradizioni o fonti. Questo, così come certe somiglianze tra il Pentateuco e certi reperti babilonesi, è rilevante per la storia del testo, ma non sembra che possa fondare le conclusioni dottrinali che questi autori vorrebbero ricavarne. Da questo punto di vista sono di notevole interesse gli studi esegetici sul Pentateuco di H. Cazelles.

[184] MF, p. 196.

[185] Cf. per esempio: J. Fuchs, Die sittliche Handlung: das intrinsece malum, cit., pp. 178 ss.; M. Theobald, Das biblische Fundament der kirchlichen Morallehre, cit.; Zu Grundbegriffen der Enzyklika "Veritatis splendor", cit., pp. 15-16.

[186] Neppure è necessario soffermarsi sulle affermazioni della VS che riguardano la distinzione tra verità etiche e verità di salvezza: vedi sopra 3.2, 4). Non ci sono state contestazioni su questa materia; caso mai questa distinzione, che la VS considera contraria alla dottrina cattolica, è stata di nuovo riproposta. Il lettore che comunque desideri controllare da sé l'esattezza di quanto affermato dalla VS può consultare gli scritti di J. Fuchs, soprattutto: Responsabilità personale e norma morale, cit., Essere del Signore..., cit., Etica cristiana in una società secolarizzata, cit., e Immagine di Dio e morale dell'agire intramondano in "Rassegna di Teologia" 25/4 (1984) 289-313.

[187] Cf. MF, pp. 277-286. Si veda sopra 3.2, 5).

[188] MF, p. 284.

[189] Cf. per esempio il volume curato da D. Mieth, Moraltheologie im Abseits?, cit.

[190] Etica cristiana in una società secolarizzata, cit., pp. 203-204.

[191] Cf. MF, p. 73.

[192] Così pone il problema M. Rhonheimer, Autonomía y teonomía moral según la encíclica "Veritatis splendor", cit., pp. 555-556.

[193] Immagine di Dio e morale dell'agire intramondano, cit., p.289.

[194] Ibid., p. 291.

[195] Cf. VS, nn. 42-44.

[196] Cf. VS, nº 44.

[197] Per rendersi conto basta leggere attentamente il capitolo I. Si veda per quanto riguarda il decalogo il nº 13, con la citazione del nº 2070 del Catechismo della Chiesa Cattolica. Alcuni autori sollevano un problema vero: nella Sacra Scrittura, anche nelle lettere degli Apostoli ma soprattutto nell'Antico, troviamo, collocate apparentemente allo stesso livello, affermazioni normative che hanno un valore transitorio e affermazioni di valore perenne. E' sempre necessario il discernimento razionale e il buon senso. Ma soprattutto sono gli insegnamenti di Cristo a fornire i criteri per un adeguato discernimento. Pertanto risulta determinante leggere l'Antico Testamento alla luce del Nuovo, è leggere i passi difficili del Nuovo come sono stati letti dalla Chiesa fin dai tempi apostolici; in ultima analisi, risulta decisiva un'adeguata comprensione del ruolo della Tradizione.

[198] Cf. sopra, sezione 3.1

[199] L'argomentazione svolta in questo capoverso è presa da M. Rhonheimer, Autonomía y teonomía moral según la encíclica "Veritatis splendor", cit., pp. 559-560.

[200] MF, p. 74.

[201] Gn 1, 31.

[202] Riprendo con qualche leggera modifica il mio saggio La libertà e la legge nell'enciclica "Veritatis splendor", cit., pp. 51-53.

[203] Per uno studio teoretico del problema mi permetto di rinviare il lettore a due miei lavori: Etica, cit., pp. 40-50, e Sulla fondazione trascendentale..., cit., pp. 64 ss.

[204] In questa linea si svolge la critica di H.U. von Balthasar ai riduzionismi antropologici e, in particolare, al progetto teologico di K. Rahner. Si vedano i riferimenti concreti nel mio saggio La risposta del pensiero metafisico alla crisi di senso dell'etica contemporanea..., cit., pp. 86 ss.

[205] Soprattutto nell'opera Three Rival Versions of Moral Enquiry, University of Notre Dame Press, 1990.

[206] In Italia è da segnalare il lavoro di G. ABBA' Felicità, vita buona e virtù. Saggio di filosofia morale, LAS, Roma 1989.

[207] Cf. J. Fuchs, Essere del Signore..., cit., p. 159.

[208] Cf. K.—W. Merks, Autonome Moral, cit., p. 57. Mi sembra vero invece che la natura umana, considerata nei suoi aspetti corporei e psico-dinamici, deve essere vista come ordinata anch'essa dalla Sapienza divina e, pertanto, come dotata di un seno normativo radicale o remoto che, per diventare formalmente morale, deve passare attraverso la ragione. Non si tratta quindi di una normatività sempre diretta e automatica, perché è sempre necessario in misura maggiore o minore il discernimento razionale.

[209] "Ma tale prescrizione della ragione umana non potrebbe avere forza di legge, se non fosse la voce e l'interprete di una ragione più alta, a cui il nostro spirito e la nostra libertà devono essere sottomessi (...). Ne consegue che la legge naturale è la stessa legge eterna, insita negli esseri dotati di ragione, che li inclina all'atto e al fine che loro convengono; essa è la stessa ragione eterna del Creatore e governatore dell'universo" (VS, nº 44; il testo riportato è una citazione dell'enciclica Libertas praestantissimum di Leone XIII).

[210] Cf. VS, nº 41.