La speranza e la vita sociale. Breve accenno ad alcuni pensieri del Card. Van Thuân (2004) [1]

 

Enrique Colom

 

Il Cardinale François-Xavier Nguyen Van Thuân era dotato di un’intelligenza fuori il comune e aveva grande facilità di parola e di scrittura. Tuttavia non è stato, in senso stretto, un intellettuale né uno scrittore. La sua vocazione è stata quella di essere un Pastore di anime. Ma una forzata inattività (13 anni di carcere per la fede) lo portarono a scrivere in modo da poter continuare a pascere il suo gregge; e dopo la liberazione, la sua intensa attività pastorale, fatta compatibile con il lavoro nel Pont. Cons. della Giustizia e della Pace, lo hanno costretto a continuare le sue pubblicazioni di carattere prevalentemente spirituale.

I tre primi libri del Nostro recano nel titolo la frase “il cammino della speranza”[2]; ed è significativo che la loro origine si trovi nelle carceri vietnamite tra il 1975 e il 1988. Viene da pensare che, particolarmente in quell’epoca, essere incarcerato in un paese comunista per motivi religiosi era motivo più che sufficiente per perdere ogni speranza. Ma ecco appunto il “miracolo della speranza”, come è stata intitolata la sua prima biografia[3]: il Cardinale credette contro ogni speranza, precisamente a motivo delle prove che il Signore gli fece soffrire. Lui stesso , parlando di Abramo, ha scritto nel primo punto del primo capitolo del libro “Pellegrini per il cammino della speranza”: «Tutta la sua vita fu un succedersi di difficoltà. E compì ciecamente i comandamenti, sorretto dalla sua speranza in Dio, disposta a seguire la Sua voce in ogni tempo e luogo. “Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza” (Rm 4,18), come “padre di tutti i credenti” (Rm 4,11)».

Penso di non esagerare se dico che Van Thuân è stato un degno discepolo di Abramo, non solo imitandone la solida speranza, ma anche trasmettendo e consolidando questa virtù in tanti uomini e donne del nostro tempo, tramite il suo esempio, la sua predicazione e i suoi scritti. In questa ottica di infondere speranza per affrontare le vicende della vita sociale, va anche considerato l’impegno del Cardinale per la diffusione della dottrina sociale della Chiesa e il suo lavoro nel Pont. Cons. della Giustizia e della Pace, prima come Vice Presidente e poi come Presidente fino alla sua prematura dipartita.

Difatti, le relazioni sociali in ogni parte del mondo attraversano momenti di grande angoscia e disorientamento. Le due Guerre Mondiali hanno comportato atteggiamenti di barbarie come mai prima viste, neppure nei secoli che qualche storiografia qualifica come “bui”; e benché sul finire dei conflitti si siano condannati tali eccessi, alcuni di essi vengono riproposti anche nei paesi democratici in maniera più o meno velata. Inoltre, i totalitarismi, le diverse guerre regionali e taluni movimenti di liberazione non hanno esitato ad usare ed anche accrescere quei metodi inumani. Poi il dilagare del terrorismo ha raggiunto luoghi e persone che si pensavano al riparo di questa piaga. Tutto ciò, analizzato in un ottica immanente, conduce facilmente allo scoraggiamento di fronte alla vita sociale e alla tentazione di rinchiudersi in se stessi cercando il senso della vita nelle sue componenti più effimere e meno umane; tale atteggiamento, purtroppo, fa degenerare ancora di più i rapporti sociali. Si innesca così un circolo vizioso difficile da rompere[4].

A tale riguardo, uno dei compiti più urgenti e necessari nella società odierna è quello di instillare la cultura con i semi della speranza. Occorre una schiera di “apostoli della speranza”, come è stato il Card. Van Thuân, che ci aiutino a vedere i fenomeni sociali — anche quelli prettamente negativi — come prove che ci servono per crescere umanamente e soprannaturalmente, sperando contro ogni speranza. Nel libro “Il cammino della speranza”, al numero 163, il Nostro scriveva: «Il Signore riserva il sacrificio per coloro che ama. Considerando lo scarso numero di persone che lo accettano, siamo propensi a pensare che quelli che appartengono a questa categoria sono molto pochi».

Per vivere in questo modo, per sperare contro ogni speranza in mezzo alle difficoltà, occorre un solido fondamento. Ed esso non è altro che Dio. Bisogna essere convinti che il Signore è un Padre amoroso, onnisciente e onnipotente. Egli sa perfettamente — e invero molto meglio di noi — ciò che ci conviene in ogni momento della propria vita; e ciò non soltanto dal punto di vista — se così si può parlare — personale e trascendente, ma anche per quanto riguarda gli aspetti sociali e materiali. Inoltre, è un Padre benevolo e amoroso: vuole il meglio per i suoi figli, gli uomini e le donne di ogni tempo e situazione. Infine, Dio è onnipotente, può fare tutto quanto si propone. In questa vita, molte persone vogliono il bene per i loro cari; sono di meno coloro che hanno un’idea chiara di ciò che realmente gli conviene, soprattutto se si pensa al bene integrale e definitivo delle persone amate; sono però pochissimi quelli che volendo e sapendo queste cose possono raggiungerle; e non c’è nessuno che sia in grado di sapere, volere e realizzare il bene completo di un altra persona e neppure di se stesso.

Tutto ciò solleva un’importante questione, che è stata affrontata in ogni epoca e in ogni cultura. Se Dio è veramente amoroso, onnisciente e onnipotente, perché il male nel mondo? perché, particolarmente, la sofferenza dei bambini e delle persona innocenti?È questa una questione che si può chiarire soltanto alla luce della rivelazione: il libro di Giobbe ne da una risposta valida ancorché parziale; mentre è la vita e l’insegnamento di Gesù che offre la risposta piena: le prove e le sofferenze sono, come già ricordato con parole del Cardinale, una manifestazione dell’amore divino che, mediante esse, vuole che raggiungiamo una pienezza maggiore e definitiva. Vale la pena riportare un altro punto de “Il cammino della speranza”: «La sofferenza forma le persone. Dio ce la invia affinché possiamo compatire quelli che soffrono. Così fu come pregò il Signore per l’umanità, con pianto e lacrime» (n. 702).

Occorre, tuttavia, che noi accettiamo la sofferenza. Dio, che ci ha creato liberi, conta sulla nostra libertà anche in questo ambito: se la persona assume questo disegno divino, si sviluppa umanamente (e cristianamente), se lo rigetta tende a chiudersi in se stessa e regredisce. Perciò si è detto sovente che il dolore può fare grandi uomini e grandi santi, ma può anche disumanizzare la persona. È necessario, pertanto, come fece Van Thuân e tante altre persone lungo i secoli, “sperare contro ogni speranza”; ravvivare costantemente la propria fiducia nel Signore, essere convinti che Dio è il Signore della storia, di quella personale e di quella sociale; accettare i piani divini con la sicurezza che essi conducono verso una piena felicità, che sempre sarà parziale in questa vita e che solo si completerà nell’aldilà.

È una speranza che poggia saldamente sulla grazia soprannaturale e non su ciò già raggiunto e, ancora di meno, sulle caduche speranze terrene. È, pertanto, una speranza sicura, poiché non ha il suo fondamento sulle probabilità di avere successo, bensì sulla sicurezza che si trova nell’Assoluto. È poi una speranza universale, che abbraccia tutti gli uomini in tutte le situazioni, giacché Dio non fa accezione di persone: ama tutti, per tutti è morto il Suo Figlio Unigenito e vuole che tutti siano salvi. È anche una speranza soprannaturale, che guarda prevalentemente l’aldilà e non si lascia scoraggiare dalle apparenti sconfitte in questa vita, senza che, tuttavia, se ne resti indifferenti. Perciò è, infine, una speranza che sprona il nostro impegno per migliorare le cose di questo mondo: alle volte si è detto — con un grande misconoscimento dello spirito cristiano — che la preoccupazione dei fedeli per la vita futura ha comportato la noncuranza della vita terrena e sociale; la realtà è diametralmente opposta: la consapevolezza che la vita futura dipende da quanto facciamo in questa, implica un maggiore impegno per viverla coerentemente.

Tutto ciò ha una ricaduta immediata sulle questioni sociali. Infatti, la fede biblica insegna che Dio è il Signore della storia. Ciò offre la sicurezza di non essere in preda ad un destino cieco, ma nella mani di un Padre amoroso; e, pertanto, conforta la fiducia e la speranza di poter raggiungere un mondo migliore: «I racconti biblici sulle origini mostrano l’unità del genere umano e insegnano che il Dio d’Israele è il Signore della storia e del cosmo»[5]. «La Chiesa insegna all’uomo che Dio gli offre la reale possibilità di superare il male e di raggiungere il bene. Il Signore ha redento l’uomo, lo ha riscattato “a caro prezzo” (1 Cor 6,20). Il senso e il fondamento dell’impegno cristiano nel mondo derivano da tale certezza, capace di accendere la speranza nonostante il peccato che segna profondamente la storia umana: la promessa divina garantisce che il mondo non resta chiuso in se stesso, ma è aperto al Regno di Dio»[6].

A tale riguardo, bisogna sottolineare che è l’unione con Gesù ciò che irrobustisce la speranza di raggiungere una società più giusta, senza cadere tuttavia in un idealismo utopico: «Il cristiano alimenta la propria speranza sapendo innanzi tutto che il Signore è all’opera con noi nel mondo e che attraverso il suo Corpo che è la Chiesa — e per essa in tutta l’umanità — prosegue la Redenzione compiuta sulla Croce e che esplose in vittoria la mattina della Risurrezione»[7]. Certamente, tale speranza non chiude gli occhi alla presenza del male nel mondo, conseguenza del peccato; ma, al contempo, assicura che Cristo ha vinto il peccato: «Il realismo cristiano vede gli abissi del peccato, ma nella luce della speranza, più grande di ogni male, donata dall’atto redentivo di Gesù Cristo, che ha distrutto il peccato e la morte(cfr. Rm 5,18-21;  1  15,56-57): “In Lui Dio ha riconciliato l’uomo con Sé”[8]. Cristo, l’Immagine di Dio (cfr.  2 4,4; Col 1,15), è Colui che illumina pienamente e porta a compimento l’immagine e somiglianza di Dio nell’uomo. La Parola che si fece uomo in Gesù Cristo è da sempre la vita e la luce dell’uomo, luce che illumina ogni uomo (cfr. Gv 1,4.9). Dio vuole nell’unico mediatore Gesù Cristo, Suo Figlio, la salvezza di tutti gli uomini (cfr.  1  2,4‑5)»[9]. «Il vertice insuperabile della prospettiva indicata è la vita di Gesù di Nazaret, l’Uomo nuovo, solidale con l’umanità fino alla morte di croce” (Fil 2,8): in Lui è sempre possibile riconoscere il Segno vivente di quell’amore incommensurabile e trascendente del Dio-con-noi, che si fa carico delle infermità del Suo popolo, cammina con esso, lo salva e lo costituisce in unità[10]. In Lui, e grazie a Lui, anche la vita sociale può essere riscoperta, pur con tutte le sue contraddizioni e ambiguità, come luogo di vita e di speranza, in quanto segno di una Grazia che di continuo è a tutti offerta e che invita alle forme più alte e coinvolgenti di condivisione»[11].

È, pertanto, la grazia sovrabbondante della Redenzione che sorregge in modo fermo l’agire sociale del cristiano e che accende la speranza di un mondo migliore, nonostante il peccato, da cui è intaccato profondamente l’agire umano, e i reiterati fallimenti che si constatano nella storia. Questa è la speranza annunciata dalla Chiesa. Tale speranza infonde un grande vigore allo sviluppo sociale, perché ne deriva una motivazione perenne e profonda per sorreggere gli impegni terreni e sociali; essa comunica fiducia e ottimismo sulla possibilità di costruire un mondo più a misura dell’uomo. La testimonianza della speranza cristiana è uno degli elementi più fecondi che la Chiesa e i cristiani hanno da offrire all’umanità, anche a quella di oggi[12]. La condizione e la forza dell’impegno dell’uomo nella storia per una società più giusta è la speranza che l’uomo, sorretto dalla grazia di Dio, ha in se stesso e negli altri, nel bene, nonostante il male: «La speranza cristiana imprime un grande slancio all’impegno in campo sociale, infondendo fiducia nella possibilità di costruire un mondo migliore, nella consapevolezza che non può esistere un paradiso in terra[13]»[14].

Inoltre, anche la prospettiva escatologica rende salda la speranza di poter raggiungere un mondo migliore: «L’universalità della speranza cristiana include, oltre agli uomini e alle donne di tutti i popoli, anche il cielo e la terra: “Stillate, cieli, dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo” (Is 45,8). Secondo il Nuovo Testamento anche la creazione intera, infatti, insieme con tutta l’umanità, è in attesa del Redentore: sottoposta alla caducità, si protende piena di speranza, tra i gemiti e i dolori del parto, attendendo di essere liberata dalla corruzione (cfr. Rm 8,18-22)»[15].

Queste idee si possono riassumere con un breve pensiero del Card. Van Thuân raccolto ne “Il cammino della speranza”: «La vera rivoluzione, quella che sarà in grado di trasformare tutto, dal insondabile cuore dell’uomo alle strutture politiche, economiche e sociali, non si potrà fare senza l’uomo né senza Dio. Si realizzerà “per l’uomo, in Cristo e con Lui”. Lotta per questa rivoluzione mondiale» (n. 623).



[1] Pubblicato nel “Bollettino di Dottrina Sociale della Chiesa” (a cura dell’Osservatorio internazionale sulla Dottrina sociale della Chiesa Card. Van Thuân), Dicembre 2004, pp. 12-21.

[2] Certamente tra di essi esiste una stretta connessione, benché siano libri diversi. Anche una delle sue ultime pubblicazioni si inserisce in questa scia: si tratta del libro “Testimoni della speranza”, che raccoglie gli esercizi spirituali che Van Thuân predicò al Santo Padre e alla Curia Romana nel primo anno del terzo millennio.

[3] A. Nguyen Van Chau,Il miracolo della speranza. Il cardinale François-Xavier Nguyen Van Thuân apostolo di pace, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, pp. 318.

[4] Penso che questa mancanza di fiducia nel futuro sia una delle principali e più profonde cause della “cultura di morte” costantemente denunciata dal Santo Padre.

[5] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Lib. Ed. Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 428. Questo Compendio, appena pubblicato, si cominciò a redigere quando il Cardinale Van Thuân era il Presidente del Pontificio Consiglio.

[6] Ibidem, n. 578.

[7] Paolo VI, Lett. ap. Octogesima adveniens, 14-V-1971, n. 48.

[8] Giovanni Paolo II, Esort. ap. Reconciliatio et paenitentia, 10: AAS 77 (1985) 205.

[9] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Lib. Ed. Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 121.

[10] Cfr. Concilio Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes, 32: AAS 58 (1966) 1051.

[11] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Lib. Ed. Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 196.

[12] Il tema della speranza è ampiamente trattato in Giovanni Paolo II, Es. ep. Ecclesia in Europa, 28-VI-2003, passim.

[13] Giovanni XXIII, Lett. enc. Mater et magistra: AAS 53 (1961) 451.

[14] Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Lib. Ed. Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 579.

[15] Ibidem, n. 123.