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La legge 13/2005 sulla riforma del matrimonio in Spagna (2005)

 

Angel Rodríguez Luño

 

1. Stravolgimento del matrimonio

Con la legge 13/2005, del 1 luglio, il parlamento spagnolo ha introdotto una profonda riforma del matrimonio. I mezzi di comunicazione italiani ne hanno dato ampio risalto, parlando generalmente di una legge che rende possibile il matrimonio tra omosessuali. Così è stata recepita la motivazione adotta dall’attuale governo spagnolo, che è stato molto abile sia nel presentare la riforma come ispirata dal imperativo etico della non discriminazione, sia nel qualificare quanti non la condividiamo come crudeli oppressori di un gruppo di cittadini innocenti.

In realtà la legge 13/2005 non parla per niente degli omosessuali. Essa modifica l’Art. 44 del codice civile spagnolo. Prima della riforma esso diceva: «L’uomo e la donna hanno diritto di contrarre matrimonio in conformità alla disposizioni di questo codice». Adesso è stato aggiunto un secondo comma: «Il matrimonio avrà gli stessi requisiti e gli stessi effetti quando entrambi i coniugi siano dello stesso sesso». La legge introduce di seguito piccole modifiche linguistiche in alcuni articoli del codice civile e della legge del 8 giugno 1957 sul registro civile: dove si leggeva “uomo” e “don­na”, “marito” e “moglie”, “sposo e sposa”, “padre” e “madre” ecc., adesso si parla di “coniugi”, “consorti” o “progenitori”. Con l’entrata in vigore di questa legge, l’espressioni “coniugi” e “consorti” hanno nel ordinamento giuridico spagnolo il significato di persona sposata con un’altra, indipendentemente che esse siano dello stesso o di diverso sesso.

Non si tratta solo di un riconoscimento legale delle unioni omoses­sua­li. Si è operato un cam­bia­mento radicale del concetto stesso matrimonio, la cui struttura essenziale oggettiva è stravolta. Prima esso era una relazione giuridica alla quale apparteneva essenzialmente l’eterosessualità. Adesso diventa una relazione per la quale il sesso dei contraenti è del tutto indifferente. Nel lungo e articolato informe negativo presentato al governo spagnolo dal Consejo General del Poder Judicial (CGPJ) si notava giustamente che l’allora progetto di riforma «priva l’istituzione matrimoniale di un segno di identità fino adesso mai messo in dubbio né giuridicamente messo in discussione […], vale a dire, che il matrimonio è un’unione eterosessuale, caratteristica questa fondata nell’idea di complementarietà dei sessi e di matrimonio come fondamento della famiglia. Da questo punto di vista, l’eterosessualità è un elemento costitutivo essenziale del concetto di matrimonio: il matrimonio o è eterosessuale o non è».

Questo significa che la legge di riforma ha cancellato il matrimonio dal diritto civile spagnolo. Nella Spagna ci sono adesso e ci saranno in futuro veri matrimoni come realtà di fatto, ma non esistono più come realtà di diritto, perché l’unica relazione giuridica che la legge riconosce come matrimonio possiede una struttura formalmente e oggettivamente non matrimoniale, fra l’altro perché è strutturalmente sterile. Le unioni che di fatto sono veri matrimoni non hanno nell’ordinamento giuridico spagnolo alcun riconoscimento specifico ed esclusivo. Lo Stato spagnolo non vede differenza alcuna, neppure minima e da nessun punto di vista, tra le unioni dalle quali siamo nati tutti noi e le unioni tra persone dello stesso sesso. La volontà esplicita del legislatore è stata appunto questa: eliminare definitivamente (e dispoticamente) ogni differenza, con la motivazione che la più piccola differenza giuridica tra quei due tipi di unioni sarebbe stato un atto di ingiusta discrimina­zione. Perciò il governo è andato dritto per la sua strada, senza ascoltare nessuno e senza mostrare alcuna disponibilità per introdurre sfumature o distinzioni. I tre pareri fortemente e motivatamente negativi del CGPJ, del Consiglio di Stato e della Real Academia de Jurisprudencia y Legislación sono stati inesauditi, così come sono state inesaudite le istanze procedenti dalla società civile, comprendenti fra l’altro l’oceanica manifestazione del 18 giugno a Madrid.

Ciò che più colpisce è che le forze politiche di un paese civile, che dovrebbero avere un certo grado di cultura politica, siano state così ottuse da negare affrettatamente ogni rilevanza giuridica ad una funzione sociale che è necessaria per la stessa sopravvivenza della società e dello Stato, quale è la funzione che il matrimonio svolge e che in modo alcuno possono svolgere le unioni tra persone dello stesso sesso. Perché quando la legge non vede differenza alcuna tra il vero matrimonio e l’unione tra persone dello stesso sesso sta dicendo proprio questo: che non vede che la funzione svolta dal primo e che le seconde non possono svolgere sia giuridicamente rilevante e meritevole di riconoscimento specifico da parte dello Stato.

2. Le motivazioni della riforma

Ad una mia comunicazione mediante posta elettronica, il direttore del gabinetto della presidenza del governo spagnolo ha risposto per lo stesso mezzo indicando sostanzialmente due ragioni che giustificherebbero la riforma del matrimonio. La prima è che «non esiste ragione alcuna che vieti ai rappresentanti eletti dai cittadini di approvare una legge con la quale si modifica un’altra legge». La seconda sono le seguenti parole del presidente del governo spagnolo: «Sono consapevole che quest’ultimo è uno dei provvedimenti più polemici fra quelli da noi approvati. Non entrerò nella qualifica delle argomentazioni che sono state utilizzate per opporsi a questo cambiamento sociale. Ma sì dirò che non si può negare la libertà a una parte dei nostri connazionali, quando l’esercizio di tale libertà non nuoce gli altri. Non capirò mai che si proclami l’amore come fondamento della vita, e poi venga radicalmente negato l’aiuto, la comprensione e l’affetto ai nostri vicini, ai nostri amici, ai nostri parenti, ai nostri colleghi».

La prima ragione, di per sé, non giustifica nulla né sul piano etico né su quello politico. Tutto dipende del valore dei contenuti della legge precedente e dell’ulteriore modifica da parte del legislatore. Se le disposizioni legali che riconoscono uguali diritti civili in Spagna agli uomini e alle donne viene modificata dal parlamento con un’altra che nega alle donne i loro diritti civili, a nulla serve che mi si dica genericamente che «non esiste ragione alcuna che vieti ai rappresentanti eletti dai cittadini di approvare una legge con la quale si modifica un’altra legge». Qualsiasi persona con un minimo di buon senso continuerà a pensare che la modifica è ingiusta e gravemente nociva. Quel tipo di risposte lasciano il tempo che trovano.

La seconda ragione mira più alla sostanza del problema. Essa afferma che con la presente riforma del matrimonio si concede un diritto di libertà ad alcuni cittadini senza nuocere gli altri. Al di là dei diversi atteggiamenti, più o meno adeguati, che lo Stato potrebbe assumere nei confronti delle unioni tra persone dello stesso sesso come fenomeno sociale, affermare che lo stravolgimento del concetto stesso di matrimonio operato in Spagna non nuoce nessuno è una tesi sempli­ce­mente insostenibile. La legge 13/2005 solo in apparenza è una legge semplicemente permissiva, cioè, una legge che si limita a permettere di fare qualcosa a chi liberamente desidera farla senza toccare gli altri. E ciò per diverse ragioni.

3. Una riforma ingiusta che nuoce tutti

La rilevanza giuridica pubblica del matrimonio è fondata sul fatto che esso è uno stato di vita che, in virtù della propria struttura oggettiva, svolge una funzione dalla quale dipende la sussistenza della nostra società. Con la riforma attuata in Spagna, lo Stato ha eliminato lo specifico riconoscimento di tale funzione che prima esisteva, dato che ciò che il legislatore ha voluto fare e ciò che in realtà ha fatto è affermare che per l’ordinamento giuridico non esiste differenza alcuna tra il matrimonio e le unioni che, per motivi affettivi o di altro ordine, possano formare persone dello stesso sesso. Come può non essere nocivo che lo Stato rinneghi l’istituzione dalla quale esso stesso dipende? Forse neppure il legislatore ha preso molto sul serio ciò che ha fatto. La legge risponde all’interesse generale; altrimenti non è una legge, ma un privilegio concesso ad alcuni. Quindi essa attribuisce a tutti i cittadini il diritto di unirsi con altri dello stesso sesso. Ed è assai evidente che cosa accadrebbe se tutti gli spagnoli di sesso maschile si unissero ad altri dello stesso sesso, e tutte le donne si unissero con altre donne. Sarebbe un inferno destinato ad una veloce e definitiva autoestinzione.

Le leggi dello Stato, oltre a contenere concreti prescrizioni, permessi e divieti, esprimono qualcosa; nel nostro caso, esprimono una concezione del matrimonio, della società e di ciò che è buono per i cittadini. Questa dimensione espressiva della legge non solo è recepita da coloro che eventualmente la condividessero, ma è imposta a tutti, perché tutti, volenti o nolenti, restiamo in qualche modo coinvolti. I presupposti antropologici delle leggi statali vengono ad essere come l’aria che respiriamo, l’ambiente in cui si formerà la forma mentis dei nostri figli e dei figli dei nostri figli, la realtà che verrà rispecchiata dalla letteratura, dal cinema e dalla televisione (la televisione spagnola si è munita già di cartoni animati per i bambini adeguati alla riforma del matrimonio!), nonché la mediazione sociale alla quale resterà soggetta la formazione della coscienza personale e collettiva degli spagnoli. Qui siamo tutti coinvolti. Basti pensare che la comunicazione alle giovani generazioni, nell’ambito della scuola o della Chiesa, delle evidenze naturali sul matrimonio esistenti da quando il mondo è mondo diventerà un delitto di omofobia, e in ogni caso sarebbe oggetto dello stesso linciaggio mediatico e politico a cui è stato sottoposto uno dei psichiatri spagnoli, professore ordinario di psicopatologia dell’Università Complutense di Madrid, che il 20 giugno 2005 ha avuto il coraggio di riprendere, davanti alla Commissione Giustizia del Senato, ciò che la bibliografia specialistica internazionale afferma sull’omosessualità e sull’adozione di bambini da parte di coppie dello stesso sesso.

C’è da aggiungere che con la presente riforma del Codice civile si intende fondare la rilevanza pubblica di una relazione giuridica su qualcosa che non possiede né può possedere rilevanza pubblica alcuna. Così viene introdotto nell’ordinamento giuridico un principio di autocontraddizione e di molteplici abusi. La amicizia è una relazione di importan­za umana fondamentale. Essa non possiede però alcuna rilevanza giuridica pubblica. Se sono amico di una persona o di un’altra, se andiamo insieme al calcio o meno, se prendiamo la decisione di non frequentarci più, ecc. sono realtà sulle quali né lo Stato né i tribunali di giustizia hanno nulla da dire e nulla da fare. Si tratta di una logica comunicativa privata, che può essere importantissima per gli interessati, ma che non è istituzionalizzabile ed è pubblicamente insindacabile. Se invece affitto un appartamento, o nomino un amico mio erede universale, stabilisco una relazione giuridica, di diritto privato però, sulla quale la legge ha qualcosa da dire e da regolare, senza che ciò implichi tuttavia che il mio amico e io dobbiamo essere considerati “coniugi” o “consorti”. Si tratta di affitto e di eredità, non di matrimonio. La comunicazione affettiva e sessuale tra due uomini o tra due donne, indipendentemente dalla valutazione etica e antropologica che essa meriti, è una logica comunicativa privata, senza alcuna rilevanza giuridica pubblica, qualsiasi sia l’importanza che a tale relazione loro attribuiscano. Anche l’amicizia e il fidanzamento sono molto importanti per le persone coinvolte, ma rimane qualcosa di privato che lo Stato non potrebbe né regolare né finanziare senza sbagliare, per indebita intromissione e per altre ragioni ancora. Solo l’ottusità ideologica può pretendere di servirsi strumentalmente del diritto di famiglia per risolvere problemi di considerazione sociale che andrebbero affrontati invece mediante una cultura civile del rispetto e mediante una saggezza politica che in questo caso concreto non hanno ispirato l’operato del legislatore spagnolo.

Si può dire, anche, che la presente riforma del matrimonio risponde ad una cultura politica proto-individualistica, nella quale l’irresponsabilità per il bene comune è come il biglietto da visita. Il problema si manifesta, sul piano degli atteggiamenti popolari, in quanti vogliono farci credere che finché una nuova legge non toglie i soldi dalle nostre tasche essa non ci tocca. La preoccupazione di quanti possiedono una cultura politica basica è che la forma che la società dà a se stessa mediante le leggi che ne regolano la vita e le istituzioni sia giusta e adeguata al progresso di tutti, e quanto adesso si è introdotto nell’ordinamento spagnolo è un principio di disordine e disintegrazione. Se la legge 13/2005 viene vista insieme alla nuova legge sul divorzio ultra-veloce (attuabile tre mesi dopo il matrimonio), non è difficile capire le possibilità di abusi che si aprono, in ordine a ottenere vantaggi economici o la nazionalità da parte di persone che non intendono in realtà contrarre un’unione di tipo affettivo.

Mi sembra di dover dire, infine, che tutta questa confusione sembra un prezzo troppo alto per risolvere un problema che non esiste o che, se in qualche misura esiste, va risolto in un altro modo. Un male non si combatte aggiungendone un altro ancor maggiore. Peraltro, nella Spagna attuale ogni cittadino può vivere o convivere con chi vuole, potendo ricorrere al diritto comune per ottenere la tutela delle situazioni di reciproco interesse. Se fosse il caso, alcune norme o regolamenti (per esempio, chi può assistere un malato in ospedale) possono essere facilmente rese più flessibili, senza toccare il concetto di matrimonio, che nulla ha a che vedere con l’eventuale rigidità o inadeguatezza di certe prassi burocratiche. Altre discriminazioni non ce ne sono. Prima della riforma tutti i cittadini potevano sposarsi con un altro cittadino di sesso diverso, e questo vale ugualmente per tutti: anche un gay e una lesbica possono contrarre matrimonio. Quanti non desiderano o non possono impegnarsi una relazione alla cui essenza appartiene l’eterosessualità sono liberi di non intraprenderla. Ma pretendere che le unioni tra persone dello stesso sesso siano un matrimonio, è come pretendere che il parlamento sopprima per legge l’impenetrabilità della materia, e quindi consenta alle autovetture di tenere a proprio piacimento sia la destra sia la sinistra della strada. Sarà una legge contraria alle più naturali evidenze e nociva per tutti. Non farà altro che causare vittime.

E tra le vittime vanno annoverati, in primo luogo, i bambini che saranno adottati da coppie di persone dello stesso sesso. L’istituto dell’adozione mira primariamente al bene e agli interessi del bambino. Esiste innanzitutto per dare al bambino la presenza del padre e della madre richiesta dal suo normale sviluppo cognitivo, affettivo e sociale. Ed è chiaro che un uomo non può essere una madre, né una donna può essere un padre. La dimostrata scarsa stabilità delle coppie formate da persone dello stesso sesso, e la rivendicazione culturale e politica del cosiddetto “sesso intergenerazio­nale”, attuata da diversi gruppi, quale la North American Man-Boy Love Association (NAMBLA)[1], non possono non causare profonda preoccupa­zione.



[1] Anche in Spagna esistono queste rivendicazioni: si veda l’articolo El matrimonio gay no debe ser la meta, «La Vanguardia» (Barcelona), 10 ottobre 2004. Nella letteratura specialistica si veda per esempio J.A. Nelson, Intergenerational Sexual Contact: A Continuum Model of Partici­pants and Experience, «Journal of Sex Education and Therapy» 15 (1989) 3-12.